domenica 10 marzo 2024

Quattro anni fa l'Italia divenne tutta zona rossa: ricordi sparsi

Stampa e governo promossero il delirio totale, la demagogia solennissima, la paranoia nazionale, la discriminazione obbligatoria, l'ipocondria di Stato, l'isteria collettiva. Il bombardamento mediatico e l'autoritarismo arbitrario ne furono i pilastri.

L'infame curia milanese aprì le danze con “la messa guardatevela su youtube”, e il resto venne da sé: i “distanziamenti” perfino fra i banchi in chiesa, i preti “latitanti” coi confessionali vuoti perfino nei santuari mariani, le ridicole polemiche sul suono delle campane, il diabolico “obbligo di comunione sulle mani” (e la “santa invidia” per i furbetti che avevano possibilità di aggirare le norme civili e clericali per poter continuare a frequentare i sacramenti).[1]

E tutto il “security theater” (coi tanti volenterosi che si davano da fare persino più di quanto il Potere esigesse), e le arterie stradali pressoché vuote, e il “pisciare il cane di peluche” pur di uscire (o l'andare al supermercato 5 volte per 5 articoli), e gli inseguimenti dei “runner” e dei bagnanti isolati (e gli autopromossi “delatori”, specie sui social), le mascherine “anche all'aperto” (e i guanti di lattice, e l'igienizzazione ossessivo-compulsiva), e le “autocertificazioni”, la “didattica a distanza” (cioè a casa coi videogiochi: “mamma, capisci!?, scuola è chiusa! che bello!”) e lo “smart working” (e anziane docenti improvvisatesi network engineer), e l'assalto ai treni in stazione per scappare a casa prima delle chiusure, e le visite mediche programmate (e già pagate) svanite nel nulla, e le mascherine FFP2 a 6,40€ in farmacia, e i tagli ai trasporti, e il divieto di baci e abbracci…

E quindi il lockdown dopo una certa ora (il virus era nottambulo, oltre che esperto di confini comunali e regionali), i “banchi a rotelle” (mentre si davano i miliardi ad Alitalia e si elargiva il “bonus monopattino”), le limitazioni assurde (perfino al numero di passeggeri sulle auto), la ristorazione “solo asporto”, i supermercati “chiuse corsie non alimentari” (e le “code chilometriche” fuori e il “limite di ingressi” dentro), lo jogging “solo entro 500 metri”, la moda della “home gym” (e il boom di vendite dei videogiochi), e il far scorta di cibo e di ingredienti (perché improvvisamente tutti avevano “più tempo per cucinare”), e i “covid party” (mentre i ricchi continuavano coi loro party veri e la mascherina ce l'avevano solo i loro schiavi-camerieri)…

E poi la “quarantena” modello 41-bis, l'imposizione dei “vaccini” (e il panino con la porchetta a chi si faceva in(o)culare), i volontari che ripubblicavano sui blog i numeretti “ufficiali” (mentre venivano permanentemente “bannati” quelli che osavano esprimere il pur più minuscolo e velato dubbio), e le inquietanti "coreografie" degli infermieri...

E infine il “green pass”, obbligatorio perfino per i mezzi pubblici o per fare sport o per sedersi al tavolino anziché consumare in piedi, e pure il “green pass rafforzato”. E la multa agli “over 50” che non si erano fatti in(o)culare.

E tutto questo di fronte ai test “PCR” costruiti da certi Corman e Drosten, su un modello al computer basato sulla Sars del 2003, e divenuti improvvisamente il nuovo “credo” della religione talebana pandеmenzial-vаccinale.

E oggi, nel 2024, c'è ancora un vastissimo branco di emeriti coglioni che si chiede perché la chiamiamo “pandеmenza cоvidiоta” o “dittаtura psicоsаnitaria”.


1) Quegli interminabili mesi in cui sono rimasto senza la Comunione li conteggio come persecuzione violenta e ingiustamente subìta.

mercoledì 3 gennaio 2024

Allegra e solare, cioè un piattume senza valore

Continua nell'indifferenza generale lo stillicidio di morti da Elisir di Lunga Vita. Tra cui parenti, amici e conoscenti che godevano di ottima salute. Tra queste vittime c'era anche una ragazza che negli ultimi anni della sua vita aveva ottenuto ciò che desiderava, incluso ciò che non era proprio morale. Mi ostino a sperare che in fin di vita abbia provato anche solo un attimo di disilluso sdegno e fastidioso rimorso e si sia resa conto della fondamentale inutilità delle cose di questo mondo. Mi ostino a pensare che qualche disegnino con angioletti e frasetta evangelica pubblicati sulla propria bacheca social siano, oltre che autocertificazione di stupidità e di noia di vivere, anche uno dei tanti miseri appigli per provare una qualche misera forma di pentimento. Ma è diventato una faticaccia sperarci ancora. Eppure, a suo tempo, glielo avevo detto che non è così che ci si salva. Gliel'avevo raccomandata più volte, una buona confessione, “se non altro per ripulirsi l'anima”. Inutilmente. Chissà se se ne sarà ricordata in fin di vita.

Le migliori foto della sua vita sono quelle che le ho scattato io, che avevo avuto cura di non farne notare la disabilità e di non lasciare che qualche ombra evidenziasse occhiaie e altro. Quei primi piani, tre quarti, profili, sono stati le foto meno gettonate dei suoi social, nonostante il gioco di luci e angoli (incredibilmente riuscito nonostante i limiti di una fotocamera di cellulare) l'avesse resa presentabile. Il fidanzatino doveva essere geloso del sottoscritto: le foto che le scattava lui erano sempre così banali, ripetitive, senz'anima… ben sbandierate sui social, crivellate di like non proprio sinceri, e… rappresentandola purtroppo realisticamente.

In auto con amici, qualche giorno dopo, ho accennato alla sua morte. Subito è partito da uno di loro un necrologio automatico e autoconclusivo riguardo ad una vita “allegra e solare” spezzata così. Quando muore una ragazza ci sarà sempre una folla sterminata a dire che era allegra e solare per chiudere rapidamente l'ingombrante discorso. È un obbligo sociale, in questo XXI secolo, son tutte allegre e solari, anche dopo la menopausa o in presenza di crisi esistenziali. Al punto che da sempre ho considerato quei due aggettivi come la più cinica descrizione di una vita piatta e, nel migliore dei casi, un modo per liquidare l'argomento e passare alle notizie sportive.

Ma è perché abbiamo tutti una vita piatta, interrotta al massimo da momenti “importanti” come lauree, matrimoni, traslochi, come incidenti, lutti, licenziamenti, come vacanze inusuali, acquisti pazzerelli, diete malriuscite, hobby tenuti in piedi solo per ammazzare la noia… Di fronte alla morte tutto questo show di cose raccontabili perde tutto il valore apparente che sembrava avere. Non ha alcun senso aver fatto serata fino all'alba, aver fatto vacanza in posti dove non ci va nessuno dei tuoi amici social, aver conseguito lauree e case e posti prestigiosi di lavoro, aver imbroccato una “relazione”[1] tutta rose e fiori. Non ha alcun senso quando ti stai per spegnere e non sai a quale ricordo aggrapparti.[2] Quegli eventuali successi e successoni, e i regali, e gli auguri, e le conversazioni, e le liti, i Like, e lo shopping fatto e rifatto e ripetuto, e l'aver fatto finalmente sistemare la cucina, sono solo ricordi che stanno per morire con te.

“Vorrei essere un frate quando il respiro manca… aver la vita dietro, l'eternità davanti”: solo una vita di fede (che è di scarsissimo valore quanto al riempire pagine social) può ancora aver senso quando si avvicina la morte. Attorno a me se ne stanno andando troppe persone la cui massima espressione di fede era un santino di padre Pio dimenticato nel cassetto del comodino. Nulla è impossibile a Dio, ma viene il magone lo stesso.[3]


1) Oggi non ci si sposa più, per cui è sempre uno “stare insieme”, un “compagno”, un “fidanzato”, raramente un “marito”.

2) E quelle discussioni infinite sul caldo estivo non bastano più neppure a nasconderti quella voce che urla dentro la testa: “la morte è vicina”.

3) Ho una lista ormai lunghissima di defunti da ricordare nelle preghiere. Come quell'anziano curato di campagna descritto da Bernanos, non ricordo più da quanto tempo ho smesso di ricordare esplicitamente tutti i nomi.

lunedì 25 dicembre 2023

Frattaglie - 24 - altre cose che non ebbi tempo di twittare

Da novizio, ha il rosario appeso alla cintola. Una volta ordinato, va in giro in abiti da pensionato al baretto. Aveva ragione padre Pio a dir loro riguardo alla veste: e dunque siete voi a fare un favore a san Francesco?

Quella volta che pedalo fino ai ruderi di una chiesetta. Sono le quattro di un pomeriggio feriale, sono sul punto più esterno del cortile, da dove si vede il panorama. Giungono due donne ad aprire la porta laterale, entrano, ma lasciano chiuso in modo da scoraggiare visitatori. Aspetto parecchi minuti, sperando che almeno socchiudano almeno la porta principale. Nulla. Visita al Santissimo solo mentale. Sudato e stanco, per fortuna mi attende una lunga e gradevole discesa, mi rode di non poter almeno dare uno sguardo alla chiesetta.

Segni dei tempi: i ragazzini si chiamano Mìììrko anziché Marco, Gessssica anziché Grazia, Kèèèvin anziché Carlo. Poi si domandano seriosamente in quale giorno dovrebbero festeggiare l'onomastico.

Ho a cuore alcuni personaggi immaginari. Protagonisti di un videogame che non ho mai giocato, o che ho giocato pochissime volte da ragazzino senza neppure capire logica e obiettivi del gioco. Personaggi di fumetti che ho leggiucchiato in fretta, probabilmente nemmeno del tutto, di cui non ricordo né storia né contesti. Personaggi di novelle o romanzetti di cui ho dimenticato persino l'autore. Talvolta fanno capolino, come per dirmi qualcosa, come per chiedermi di non essere dimenticati, come per aspettare anche loro di rivelarsi e di stringere amicizia. Immagino un giorno di poterne conoscere i loro creatori, e di trovarli magari annoiati e infastiditi: “ah, davvero? l'avevo dimenticato, era una cosetta fatta in fretta e senza impegno, senza cuore”.

Le liturgie religiose moderne, con le Prove Di Canto prima di iniziare, e quelle televisive, con le Prove Di Canto prima di andare in onda.

Per un breve periodo ci fu nel movimento un assillante e continuo invito a fare “scuola di comunità” il più spesso possibile, anche ogni giorno. Cercavo di figurarmi una combinazione di eventi fortunati tali che si potesse seriosamente metter mano a qualche libro di don Giussani e arrivare preparatissimi al giorno dell'esame… Brutto segno quando l'entusiasmo viene sostituito da una programmazione stile seicentordici precetti dei farisei.

Se Malmsteen non fosse stato uno sbruffone, il goth metal non sarebbe esistito. Molti artisti non sarebbero tali se fossero stati più equilibrati.

È tipicamente umano decidere di innamorarsi di alcune cose scelte fra le uniche conosciute. Quando tutti i miei amici per sentirsi adulti blateravano di hard rock e di metal, finii anch'io per considerare buoni alcuni pezzi di alcuni autori. Ci vorrà il movimento per farmi scoprire la bellezza della musica classica, fermo restando che quei pezzi che avevo scoperto erano perle nel campo, come quel capolavoro che è Here come the tears.

Detesto funerali e anniversari perché mi sembra sempre che si voglia ricordare il personaggio - non la persona - del defunto. Cerimoniali ipocriti di qualcosa che se davvero è esistito, è stato secondario rispetto alla realtà.

Non ti lasciano scampo, non puoi sottrarti alla liturgia degli auguri de 'sta minchia. Fanculo.

Le scene strazianti che giungono dalla Palestina nel silenzio di chi poteva spendere anche solo una parola. Nostro Signore vede benissimo la sofferenza di quegli innocenti.

mercoledì 29 novembre 2023

Frattaglie - 23 - altre cosucce che non ebbi tempo di twittare

Il prete indiano che gesticola, agita le braccia, cerca contatto visivo, sembra non trovar mai il bandolo per terminare l'omelia personalizzata che mi sta infliggendo. Mi fa qualche domanda di quelle consigliate dai libercoli di psicologia spicciola per richiamare l'attenzione dell'interlocutore (“se uno chiama: Giancarlo!, tu cosa rispondi? appunto, perché non ti chiami Giancarlo”). Nel mentre mi dico mentalmente che quel fiume di parole da subire è parte della penitenza. Finalmente esco dal confessionale, una sensazione di sollievo perché nel mio campo visivo non c'è nessuno che mi inondi di parole.

Poi c'è invece quell'anziano signore che vuol compagnia. Cioè vuole infliggermi una predica. Fa fatica a parlare, tre quarti della sua favella è composto da “quella cosa, ma come si chiama, quella cosa che lì, insomma, c'era quella cosa…”. Una fatica immane per svincolarmi.

E poi c'è quella noia di vivere della gente del quartiere. Che cerca occasioni di lite, perché vuol contartela come si deve. Sembra bramare il momento in cui trionfalmente annuncerà che il suo avvocato te la farà pagare cara. Così, il cinquantenne con la Mondeo è sceso dall'auto per accusarmi furioso di stare a osservarlo (il sottinteso è che avendo comprato un'auto così larga, avrebbe automaticamente acquisito il diritto di usufruire del nostro vialetto d'ingresso per far manovre, e se io lo osservo lo sto accusando di qualcosa). Sembrava davvero cercare lo scontro fisico, mi si è avvicinato per urlarmi in faccia. In applicazione del proverbio “se vuoi scontentarli accontentali troppo”, mi sono avvicinato anch'io, di più, per urlare ancora più forte di lui, sputacchiandolo involontariamente. La sua compagna polaccucraina è scesa dall'auto per “calmarlo” (avrà capito che anche se ero di minor statura e salute, non gli sarebbe rimasto un felicissimo ricordo dell'evento), e han finalmente deciso di tornare nell'auto e ripartire. Mi aspetto la solita ondata di dispettucci e dispettini, spero che anche stavolta si limitino a gettarci solo lattine, saponette, noccioli di frutta. Mi aspetto anche che qualcun altro ne approfitti per creare nuove occasioni di lite.[1]

Molta dell'arroganza dei barbari abitanti nei dintorni sembra esser piovuta insieme ai soldi che hanno accumulato negli anni '90. La congiuntura favorevole terminò piuttosto presto, tanto più che ognuno si tuffava ad approfittarne. E così, da vent'anni a questa parte, la desolata periferia è tornata ad essere tale. Ma con qualche macchinone grosso in più, per dare a vedere di essere uomini di successo, e magari anche sfoggiando la compagna straniera (“l'unica che gliel'ha data”, venduta a caro prezzo).[2] La quale ha immediatamente portato qualche suo zio, nipote, cugino e parente, da far abitare nei dintorni. Al punto che ogni tanto vedi quel crocchio di gente che parla in un dialetto dell'est-Europa incomprensibile. E tutta la fulgida bellezza e disponibilità sessuale con cui aveva conquistato il soggetto, sono sfiorite molto rapidamente, nonostante il tanto impegno della vecia a imbellettarsi.

La giustizia italiana è un tritacarne osceno. Un amico viene coinvolto in una faccenda penale per la quale ha pure dimostrato di aver agito nei termini di legge e di aver avuto via libera dall'ente competente. Nonostante ciò è stato condannato. Dovrà fare ricorso, cioè dimostrare di nuovo la propria innocenza. Anche in famiglia ho sentito storie del genere. Perfino di un caso in cui un parente che aveva torto marcio, la ebbe inspiegabilmente vinta. Fisco e giustizia sono i due mostri che sorreggono le vergogne italiane.

L'indole dei mezzi uomini: vorrebbero essere ringraziati per la loro paura, spacciata per buonsenso, e per la loro insignificanza, spacciata per un non mettersi nell'occhio del ciclone. Neppure don Abbondio aspirava a tanto.

Quei momenti in cui in cattedrale vedi lo stuolo di preti, e ti chiedi come mai sembri un ospizio.

Il dramma di certi pretuncoli moderni è usare espressioni enfatiche (o ambigue per evitare di dover dare precisazioni) senza rendersi conto del danno fatto. Per esempio quando di qualcosa dicono “si esprime anche attraverso la liturgia”, non si rendono conto che quell'anche ha staccato la liturgia dalla vita reale, ha reso la liturgia un'aggiunta a qualcos'altro. Non si rendono conto di aver involontariamente affermato che prendere sul serio la vita non implica aver preso sul serio anche la liturgia. Non si rendono conto di aver ridotto la liturgia ad un'attività pretesca per chi non ha altro da fare la domenica. Non hanno vissuto quegli interminabili periodi - come quel maledetto lockdown - in cui la liturgia venne frettolosamente ridotta a commediola guardabile su Youtube.[3]


1) Se X detesta Y e Y litiga con Z, per X è una ghiotta occasione di fare un dispettuccio a Z in modo che questi tenti di vendicarsi su Y. Seminare discordie sembra sempre convenientissimo.

2) L'invasione straniera consiste anche in vecchi marmittoni che si infatuano di una donna di mezz'età proveniente dall'est, che finge attrazione sessuale e sentimentale, che qualche annetto dopo ha le carte in regola - pazientemente allestite fin dal primo giorno - per divorziare e tenersi casa, attività commerciale e figlio.

3) È anche stato uno dei limiti del movimento, l'aver dato per scontato nelle assemblee che a furia di temi di attualità e di introspezione si sarebbe giunti alle giuste conclusioni riguardo alla vita sacramentale. Posso facilmente supporre che ciò non fosse esattamente intenzione di don Giussani.

venerdì 13 ottobre 2023

Frattaglie - 22 - ciò che non ebbi tempo di twittare

Il soggetto tipico che vedo passare per strada mentre stendo il bucato cammina guardando i Tiktok in vivavoce nel gracchiante cellulare. Dev'essere una droga talmente potente da dover essere consumata al minimo segno di astinenza, cioè anche camminando. In compenso, quando sono in bici e qualche automobilista mi sorpassa in modo azzardato a distanza ravvicinatissima o addirittura mi taglia la strada, lo vedo quasi sempre con una mano sul volante e l'altra ad armeggiare col cellulare. Bonus points se dall'altra corsia c'è un cretino con gli abbaglianti accesi o peggio un anabbagliante “starato” verso l'alto, cioè che abbaglia.

Domenica scorsa una donna si è sentita male durante la Messa. Era seduta fra i banchi, è crollata a terra. Ho pensato subito al famoso Elisir di Lunga Vita e Prosperità. Le hanno portato un po' d'acqua da bere, si è rimessa su, visibilmente affaticata, e uno che le faceva sempre tante feste (si è adolescenti anche sopra i 50, specie se single) l'ha sorretta con un braccio dietro la schiena offrendosi di accompagnarla a casa. Mi chiedo se domenica la rivedrò, o se ne apprenderò il nome da qualche manifesto funebre, aggiungendolo alla crescente lista di parenti e conoscenti che senza motivo, e in largo anticipo rispetto alle statistiche, hanno lasciato questo mondo.[1]

Ieri si è sentito male uno nel bed'n'breakfast di fronte. Ambulanza a sirene spiegate. Mai sentite tante ambulanze come in questi ultimi tre anni. Sono ormai un suono quotidiano. Una volta quelle sirene erano l'evento del mese, di cui si parlava e straparlava in piazza davanti al baretto per ammazzar la noia del venerdì sera.

Da molti anni ho una connessione internet orribile. È lenta,[2] cambia indirizzo diverse volte al giorno (per cui navigando risultano all'improvviso pagine “appese” e tocca ricaricarle o rifare qualche login), ogni tanto si “inceppa” e va resettata a mano, in certe ore della giornata è talmente lenta da rendere frustrante qualsiasi operazione, ogni tot settimane per qualche ora è impossibile navigare. Non c'è video che possa guardare senza dover fare pause per attendere il caricamento dei pochi secondi successivi. Tutto questo ha influito sul mio modo di navigare, alimentandomi da un lato il disincanto per ciò che c'è su internet (nel senso che devo ritenere davvero interessante qualcosa prima di cliccarci anche solo svogliatamente), e dall'altro un fastidio per la quantità crescente di materiale insignificante (pubblicità, testi copiaincollati, pagine tanto pompose e graficamente ricercate quanto vuote e stupide). Installai Instagram solo perché ce l'hanno amici che non usano quasi altro, non sono mai stato tentato di installare Tiktok, il mio tempo giornaliero su Youtube raramente supera il mezzo minuto totale, Twitch non so neppure come si usa, men che meno i vari Spotify, Netflix, Dazn, Prime… Sarà per questo che ancora resisto su un blog.

Ah, quei momenti in cui ti rispondono “ma che è?”, e vorresti controbattere con: deficiente d'un imbecille, abbiamo fatto anni di scuola di comunità insieme, interminabili e ripetutissime spiegazioni di termini che dovrebbero far parte del normale lessico cristiano, su questioni per cui ci siamo tanto scaldati in passato e su cui mi hai tu stesso entusiasticamente segnalato articoli da leggere per capirne di più, e reagisci come il porco davanti alle perle? Non è mica obbligatorio rispondere subito a un messaggio, non siamo mica a scuola dove per guadagnare tempo devi preparare la Domanda Intelligente™? Ma allora tutte quelle interminabili chiacchierate al telefono, in macchina, in fila, ti erano solo un passatempo? E sì che per carattere mi secca moltissimo spendere anche solo dieci secondi per arieggiare (e far arieggiare) corde vocali, quando non c'è nemmeno il benefit dell'alleviare la tensione che ci si porta dentro. Mi secca dover avere a che fare con gente per cui il tempo va passato con lo small-talk o con una sterile ripetizione di formule per manifestare ad una platea immaginaria un'appartenenza a un qualche club.

Da bambino avevo sete di storie. La scatola magica in cucina era l'unica a raccontarmene. Con tanto di sigle, personaggi tutto sommato credibili, jingle adeguati nei momenti topici, storie tutto sommato coinvolgenti, e perfino qualche product placement che ispirava. Non avendo altri divertimenti (i compagni di scuola più ricchi avevano giocattoli, bici e motorini, o venivano portati in gita dai genitori), la scatola magica finì per assorbire tutto il mio tempo libero. Fino al punto in cui per scherzare con un compagno di classe tirai fuori una battutina che lui non capì perché non aveva seguito religiosamente entrambi i telefilm a cui alludevo. Ci restai un po' male: com'è possibile che qualcuno non sappia ciò che è avvenuto in quelle due storie così importanti? Tornato a casa, mi accinsi liturgicamente a seguirne le puntate successive. Provai un vuoto dentro. Erano solo pupazzetti nella scatola magica, vestiti come sempre, dicevano le stesse cose di sempre, in piedi, seduti, per strada, in casa, sempre le stesse cose, per di più cose lontane dalla mia cultura, uscivano, spendevano, mangiavano, socializzavano in modi preconfezionati e totalmente diversi da ciò che avveniva qui al paesino. Ogni puntata era profondamente uguale a tutte le precedenti, lo show si trascinava solo perché il produttore aveva firmato per un certo numero di episodi e non aveva più idee su come riempirli. Fu così che cadde uno dei principali pilastri della mia dipendenza dalla scatola magica: i compagni di scuola non erano abbastanza credenti, e avevo cominciato ad esserne ateo anch'io. Anche quando vi dedicavano più ore di me, non erano credenti, e non lo erano nemmeno quelle volte che si professavano sinceramente seguaci di qualcuna di quelle storie.[3]

Quanto vorrei aver l'arte di spiegare a grandi e piccini che è inutile avviare liti coi vicini se non ci sono né grossi ed evidenti motivi, né documenti legali. Come direbbe Sun Tzu, un buon generale non è quello che consegue cento vittorie in cento battaglie, ma quello che vince una battaglia senza combatterla. Ma tanto chi ha deciso di infognarsi in stupidi contenziosi non vorrà comunque ascoltar ragioni. Un popolo regredito alla barbarie ha come hobby pricipale il litigare coi vicini, anche se non fosse necessario per affermare (almeno davanti allo specchio) una qualche superiorità.

È defatigante fare slalom tra gente impegnata da tempo immemorabile in una faida all'italiana, fatta di reciproci dispettini calibratissimi per essere costosi e fastidiosi, schivando fendenti e aggirando trabocchetti. Ma avverto bene quando tirano troppo la corda, strattonano, insistono, tentano di coinvolgermi in questioni tutt'altro che urgenti, ma che per tanti motivi non posso fingere di ignorare. Ieri sera, l'ennesima liturgia delle chiacchiere, quella dell'imbonitore che fra un sorriso ed un'espressione di circostanza si lascia sfuggire un termine tecnico che una volta tornato a casa ho cercato in rete. E ho chiesto a qualcuno. E ho scoperto l'ennesimo trabocchetto da cui dovrò tirarmi fuori, per evitare non tanto quella valanga di spese inutili ma quella valanga di rogne da gestire.


1) Uno dei miei vecchi compagni di scuola è morto di “infarto fulminante”. E sì che bisogna specificare che è fulminante, perché in tanti casi di infarto normale, cioè prima della Prima Grande Offensiva Vaccinale, spesso la vittima riusciva a cavarsela. Così come vedo fra amici, parenti e conoscenti uno stillicidio di “spopolamenti” vaccinali, allo stesso modo suppongo che lo stiano vedendo tutti quelli che a suo tempo hanno gareggiato a farsi l'Elisir di Lunga Vita e ancor più a ridicolizzare, aggredire, emarginare, gli scettici come me. Per fortuna avevo tagliato i ponti coi compagni di liceo praticamente il giorno stesso della maturità, senza cadere nelle esche buoniste e nelle compagnonerie che occasionalmente venivan fuori.

2) La “lentezza di internet” non è tanto nel throughput (“quanti bytes transitano in un secondo”) ma nella user experience, “quant'è farraginoso completare il caricamento di una pagina o inviare una risposta”. C'è una specie di corsa degli asini: da un lato connessioni sempre più veloci (cioè con caratteristiche di throughput eccezionali), dall'altro una gara ad abbellire (cioè appesantire) la user experience. Che però è un viziaccio ineliminabile perché uno dei problemi fondamentali di chi sviluppa servizi su internet è assicurarsi che dall'altra parte ci sia un essere umano anziché un robot.

3) Nonostante fossero poco credenti della Scatola Magica, erano spesso molto praticanti, al punto da farsi influenzare scelte di vita, stile nel parlare, vestire, mangiare… e così non ne sono diventati mai veramente “atei”. Anche quando hanno sostituito la Scatola Magica con lo Streaming Magico, facendosi raccontare storie da altre piattaforme simil-televisive.

sabato 16 settembre 2023

Frattaglie - 21 - altre cose che non ebbi il tempo di twittare

Uno dei drammi della Chiesa che ama definirsi moderna è quello dei preti che meno hanno da dire e più parlano. Scollegati dalla realtà, parlano, parlano e ancora parlano, pur vedendo che in tanti entrano in chiesa a predica inoltrata e fuggono dopo la Comunione, che già sanno che il prete comincia in ritardo, lo sanno che c'è tutto un moltiplicarsi di prediche, lo sanno che c'è il gran finale di prediche e canzoncine. Il precetto festivo è sempre stato una penitenza fantozziana, ma negli ultimi anni è drammaticamente peggiorato. Come se i preti vivessero fuori dal mondo, come se non sapessero che siamo stufi delle solite vuote chiacchiere e di quelle snervanti pause, che se proprio le vogliamo possiamo accendere youtube e i social. (Dai, prete, di' almeno qualcosa di cattolico, di' almeno qualcosa di cristiano!)[1]

Temo di aver osservato abbastanza volte che i bestemmiatori “pagano” con la salute fisica, se son fortunati, affacciandosi a una vecchiaia di sofferenze e di delusioni.

“Sei euro! ci compro cose, latte, pane!”. Coraggio, sono altri quattordici anni di mutuo. La carabattola elettrica comprata dai cinesi, non ti hanno spiegato che è buona solo per determinate combinazioni di carabattole di contorno. Altrimenti non l'avresti pagata solo sei euro. Avresti preso quella ufficiale, da centoventi euro. Ed ora devi convincere il cinese a riprendersi indietro quella carabattola e, se non restituirti i sei euro, comprarvi qualcos'altro di utile fra le tante altre carabattole. E senza rimpiangere pane e latte. Dai, che sono altri quattordici anni di schiavitù dal mutuo, e poi -forse- andrai anche in pensione.

Un'amica si prepara per un brevissimo periodo in una struttura ospedaliera acquistando pigiamino, vestaglia, pantofoline, set da bagno, radiolina, rivistine… Si tratta di un banalissimo intervento, che le ha provocato ogni sorta di emozioni e le ha ispirato ogni sorta di discorsi e considerazioni, ed ora che sta per cominciare è già diventato occasione di una sfilata di moda, di una campagna di shopping, di un notificare a tutti gli amici ogni più insignificante novità. Al termine del periodo di vacanza (rectius: degenza) riprenderà impetuoso il fiume di discorsi sull'Operazione, tutti più o meno uguali a se stessi.

Quest'estate è stata di guerra con le zanzare. Che per selezione “naturale” - le meno sveglie le ho accoppate subito - son divenute apparentemente più intelligenti. Rubandomi ore di sonno preziose. E facendomi riflettere tante volte, in piena notte, su quale forza preternaturale ispira la loro ostinazione.

Era una delle persone che ritenevo più sensibili e intelligenti. Ci siamo domandati a vicenda: “quale canzone meglio rappresenta la tua inquietudine?” E ho smesso di ritenerla tanto sensibile e tanto intelligente. Perché almeno sul termine “inquietudine” eravamo d'accordo. Non puoi tirarmi fuori quella cagata e dire che rappresenta il tuo struggimento interiore. In quei versi c'era solo un elenco di cose. Un elenco molto terra-terra, da borghesotti dediti al consumismo, quando si buttano sul divano a rimuginare qualcuna delle loro paure perché a pancia più che piena vien su quel senso di disagio dovuto alla fatica della digestione. Dunque avevo confuso la sua capacità di esprimersi con la sensibilità, avevo erroneamente chiamato intelligenza la lista dei libri che era capace di citare.

Quel santuarietto lassù sul monte, che “vede” anche casa mia.

C'è un'epidemia in corso di cui poco si parla. È quella dell'isterismo anticattolico. Di gente - specialmente giovane - che al solo sentir nominare qualche argomento ragionevole va in full retard mode, ha una reazione pavloviana fatta di sconnessi slogan anticattolici, comincia a sbraitare e imprecar peggio che un indemoniato colpito da una secchiata d'acqua santa. In tutte le epoche sono state in vigore una lista di razzismi e odii socialmente accettabili, e una lista di inaccettabili. Oggi la fede cattolica è al top dei razzismi accettabili,[2] una vera e propria isteria, irrazionale, compulsiva, pavloviana. Così, per capire come stanno davvero le cose, basta lanciare provocazioni random e misurare la quantità di reazioni sgangherate e di argomentazioni campate in aria.

Quei momenti di tarda sera in cui spegni computer e luci e tutto, e dopo esserti accoccolato sotto le coperte combatti la tentazione di alzarti di nuovo per annotare un'intuizione che non ti era venuta nelle ore precedenti dopo tanto studio e preghiera.

Da piccolo mi colpì molto (e negativamente) una canzonetta in cui si menzionava invano il nome di Dio. Pensai a quanta gente la stesse ascoltando in quel momento, come me, ognuno a casa sua, figurandomele come se si stessero facendo la stessa onesta domanda. Cercai di capire come fosse possibile che l'autore si azzardasse a nominare Dio invano, e solo per fare rima, e che a distanza di tempo avesse ancora il fegato di non far annullare o cancellare quella canzone. Mentre la componeva, non era stato assalito dai dubbi di far qualcosa di sbagliato o almeno di insensato? Non sapeva pensare neppure ad uno di tutti quegli sconosciuti (me compreso) che l'avrebbero ascoltata sgomenti? Per un bel po' quelle mie domande rimasero senza spiegazione. Così come l'assurdo comportamento di miei coetanei che credevano di essere adulti perché disprezzavano la Chiesa. Intuii che ciò era possibile solo con un micidiale miscuglio di ignoranza, superbia, deliberata cattiveria. Che dietro a quei loro sorrisi (o meglio, risate rumorose), e a quel loro bestemmiare, non c'era una serenità ma qualcosa di malvagio che li attirava ma non li saziava, e che probabilmente avrebbero continuato a inseguire per tutta la vita.

Quelli che comprano un aggeggio non per usarlo ma per modificarlo. Dopo tante modifiche, non sono ancora riusciti a goderselo un po', hanno al massimo fatto “qualche prova” (sic). E poi quelli che comprano, senza nemmeno aprire l'imballo, e dopo tre anni si accorgono che gli era stato consegnato per errore il modello sbagliato e più costoso (ma più comune, cioè meno aristocratico). E mi dicono di aver tentato di contattare il rivenditore, dall'altra pare del mondo, il quale non sa più neppure chi era l'addetto alle spedizioni, ancor meno avere la lista di prodotti ordinati ed effettivamente spediti. E mi obiettano: ma tu fai lo stesso con tutti quei libri che compri ma non leggi. Touché.

Son mezzi uomini quelli che desiderano essere ringraziati per le proprie paure. La differenza fra timore e paura, è che il timore non è irrazionale. Riguardo all'elisir di lunga vita che continua a falcidiare la popolazione,[3] il legittimo timore era che stessero inoculando qualcosa senza che ci fossero certezze ragionevoli.[4] La paura era invece di sembrare anticonformisti… Era comprensibile (non giustificabile ma comprensibile) solo la paura di perdere per sempre lo stipendio. “Non posso permettermelo”, dissero gli arresi. I mezzi uomini son quelli che amano essere ringraziati per la loro paura. Sempre pronti a dire che non ci potevano fare niente, senza rendersi conto di giustificare il cinismo altrui.

Ormai prete è sinonimo di don Abbondio anziano: ad entrare nella sagrestia della cattedrale sembra di entrare in un ospizio.


1) E quella voce del parroco che dice “oh, no, c'è un battesimo!”, con più disappunto di quando arriva una brutta multa.

2) Ai cattofobici non interessano i dettagli, mettono tranquillamente sullo stesso piano bergoglionate e tradizionalismi.

3) La prima offensiva l'abbiamo superata, e la seconda è prevista per il 2025, forse già da fine 2024. Hanno proprio fretta.

4) Non fate finta di non ricordare. S'era sempre detto che risolveva il problema, per poi cambiar registro e dire che era sperimentale ma sicuro, per poi cambiar registro e dire che andava assunto anche in seconda, terza, quarta dose, per poi dire che era al 100 per cento efficace, no, al 99, no, al 98, no, al 95, no, al 90…

lunedì 28 agosto 2023

Frattaglie - 20 - ciò che non ebbi tempo di twittare

Eh sì che mi ricordo di quella volta in cui tutti impazzirono di gioia

La sindrome del regista: dopo aver visto un buon numero di film cominci a capire già dalle prime scene dove andrà a parare, quali idiozie ci riserveranno trama e personaggi, e perdi già tutto l'interesse nel film. Quando c'era stata l'offerta cinema a 3,50 euro la ignorai più dei risultati dell'ippica. Da anni la cinematografia non ha più niente da dire. Se un regista sa cavare qualcosa da una buona sceneggiatura, è garantito che non arriva neppure alla sagra paesana degli youtuber del paesino.

Tutta la nostra vita passa per educarci a distinguere fra soggettivo e oggettivo, particolare e univesale, quantitativo e qualitativo… e la paletta da 30 centesimi comprata dal negozietto cinese dieci anni fa, che tante mosche ha ammazzato fino ad oggi, è stata fantozzianamente fracassata dal nipotino che come uniche istruzioni ricevute aveva l'idea di sbattere il più ferocemente possibile la paletta.

E ci aggiungerei anche la distinzione fra progressione logaritmica, lineare, geometrica, esponenziale. Che una volta veniva spiegata con la storiella dei chicchi di grano su una scacchiera, che raddoppiano ad ogni casella, e il gran visir che credeva di cavarsela con mezzo sacchetto di grano perché non sapeva valutare l'escalation: sottovalutava e banalizzava ciò che non riusciva immediatamente a capire (dunque un problema di pigrizia mentale ancor prima che di stupidità o ignoranza).

Comincio ad avvertire una certa antipatia per chi va facendo advocacy e campagne di awareness per certe disabilità. Siamo in un'epoca in cui i disabili sono una minoranza assoluta della popolazione (e per lo più sono tali in seguito a incidenti stradali). Allestire tutta una cagnara solo perché un certo marciapiede di un certo paesino non aveva una rampa per disabili, a una certa fa stufare. Nulla a favore dei cafoni e delle amministrazioni comunali poco lungimiranti, ma per carità, scatenare un putiferio per dei piccoli inconvenienti è il modo migliore di renderli simpatici a chi prima era indifferente.

Certuni descrivono sé stessi come se impersonassero i propri hobby. C'è una distanza breve a separare l'appassionarsi dal definirsi. Purtroppo viviamo in una società in cui sei strano se non investi il tuo tempo in qualcosa che altri siano capaci se non di apprezzare, almeno di pensare come eccentrico. Ho talvolta dato anch'io questa impressione, di essere qualificato da ciò che mi appassionava. E ho acconsentito solo perché continuo a vedere gente che sopporta la giornata in attesa dei giorni successivi, e che finge di vivere intensamente quando è in vacanza, e che avrebbe bisogno di appassionarsi a qualcosa.

Devo essermi intrattenuto mezzo secondo in più su una pubblicità di un “mini PC” e quindi da settimane vengo bersagliato da prodotti del genere, letteralmente. Un prodotto (per esempio “PC”) con una caratteristica non funzionale - “mini”: ma perché? quanta gente ha il problema di avere pochi centimetri di spazio utilizzabile per un PC? perché non mi si propone un PC che consumi di meno, che scaldi di meno, che si guasti di meno, che non faccia rumore? Domande retoriche, se ancora non fosse chiaro. Non essendoci novità, l'urgenza è di infiocchettare vecchi prodotti con nuove insignificanti caratteristiche.

Il mio poco tempo libero che viene monopolizzato (mio malgrado) da gente che avverte i morsi della solitudine, che vuole compagnia in forma di intrattenimento, che mi chiama per nome e quel suono contiene già una pretesa.

Ogni tanto prendo in giro l'amico che comprò una bici elettrica spendendo una barca di soldi, per ricordargli che il contachilometri è ancora a due cifre e troppo lontano dalle tre. Passano le stagioni, aumentano gli strati di polvere, prende sempre l'auto perché “eh ma sai, se poi devo prendere oggetti ingombranti, e se poi piove, e se poi devo portarmi qualcuno, e se poi mi chiama mia moglie per dirmi di fare la spesa, e se poi alla bici si scarica la batteria…” E pensare che era la bici per dimagrire, ma non volendo strafare di dimagrimento la prese elettrica, per poi scoprire subito che in auto non si pedala.

Una delle tipe della parrocchia che da qualche tempo mi faceva gli occhi dolci deve averci rinunciato, sta tampinando un altro. Voglio sperare per lei che il nuovo candidato sia contento di parlare solo di cibo, vacanze, e dei pasticci delle colleghe di lei.

giovedì 1 giugno 2023

Affezionarsi alle cose

Il tanto parlare di hoarding manca sempre di un elemento essenziale: gli hoarder, accumulatori seriali, generalmente mancano solo di un po' di ordine. Il loro accumulare segue spesso dei fili logici precisi. Il primo, senza dubbio, è il vincere la propria ansia. Comprano perché sono ansiosi. Accumulano perché temono che qualcosa di utile (o almeno di interessante) possa in futuro venire a mancare. Soprattutto, accumulano perché si affezionano alle cose. Sotto sotto siamo tutti così, ci affezioniamo alle cose perché ne comprendiamo il significato e perché rifiutiamo di credere che siano destinate a durare solo fino alla scadenza prescritta. È un po' il riflesso inconscio del desiderio di una vita senza fine. Ma come, l'ho comprato solo due anni fa e ora è già scaduto? E sì che quel miele scaduto in uno sperduto mese del 2019 è stato ancora buono nel 2021. Le alici scadute tre anni fa e dimenticate in un anfratto del frigo e sopravvissute a diverse turnazioni di pulizia, le ho belle che digerite un mese fa, ed erano persino buone.

Oggi nello sgabuzzino cercavo una scatola di plastica, un recipiente, qualcosa per mettervi del terriccio e piantarvi dei semini. C'era una vaschetta verde, una cosa da frigo mai usata perché andava bene solo nel frigo precedente (di pochi centimetri più largo dell'attuale), ma temevo di sprecarla. Sono comparse due vaschette incarto per alimenti, nere, sopravvissute da chissà quanti anni. Messe una nell'altra davano un recipiente consistente da 15×25 centimetri. Un vecchio chiodo arrugginito per farvi un paio di buchi per lo scolo acqua, quindi terriccio e semi ed ecco che quella plastica riprende vita. Non tanto il gusto del riciclo, ma il gusto di dare nuova vita a vecchie cose, nuovi significati a cose che avevano esaurito da tempo il loro significato, nuove funzioni a cose per le quali ne era stata pianificata una sola che aveva già superato a suo tempo (magari nemmeno brillantemente). È un piacere buttare qualche vecchia scatola dopo che ha vissuto due volte, la prima per ciò che era stata progettata, la seconda per la vita che gli ha dato l'hoarder.

E sì che sono un po' hoarder anch'io. Da piccolo guardavo con sufficienza la fissa di certi parenti di gettar via solo ciò che dava davvero fastidio, perché tutto il resto - a partire dalle bucce della frutta e dagli scarti della verdura - era in qualche modo riciclabile. Un'asta della scopa spezzata a metà, un paio di ciabatte che solo un cattivo dei film horror metterebbe ai piedi, una camera d'aria bucata, vecchi pezzi di attrezzi arrugginiti.

Soprattutto, il non voler spendere più di un centesimo del necessario. È quella sensazione al supermercato quando stai per comprare un recipiente, guardi distrattamente il prezzo, stai per mettere nel carrello e… ti accorgi che è un banale pezzo di plastica. O di stoffa, gomma, magari fil di ferro (più raro perché più costoso). E ti rendi conto che a casa ne hai tanti, di recipienti, anche dopo aver svecchiato le vecchie cose - con quel groppone in gola per tutte le volte che hai cercato in casa qualcosa che avevi gettato via mesi prima.

C'è gente che butta via robe anche nuove, con la scusa che se non sono utilizzate da uno o due anni sono da considerarsi superflue. Per poi ricomprarle magari pochi giorni dopo, perché il solo averle ricordate riaccende le sinapsi che ne descrivevano i diversi scenari di utilizzo. Eppure, un vecchio lenzuolo bucato diventa stracci usa e getta per il garage. La tovaglia plastificata del tavolo da cucina copre utilmente gli scaffali metallici dello sgabuzzino soggetti a ruggine o graffi. Hai sostituito neon e starter del bagno e non hai buttato via i vecchi, sebbene lampeggiassero in modo fastidioso: ti si guastano quelli attuali di sabato sera (miracoli dell'umidità) e rimetti i vecchi arrangiando per il week-end.

In fondo in fondo tutto questo è un pallido specchio del desiderio che abbiamo in fondo al cuore: quello di poter scoprire che quando tutto sembra perduto, giunge una nuova imprevista missione che dà senso anche alla precedente che sembrava fallita.

mercoledì 24 maggio 2023

Andrebbero arrestati per atti contrari ai doveri d'ufficio

Di questi tempi è diventata un'impresa da veri duri il riuscire a confessarsi, anche avendo a disposizione un sacerdote sedicente “sempre disponibile”. Sarà che sono stato abituato “male”: era un giovane prete ciellino, di quelli duri e puri, e quando qualcuno gli chiedeva di confessarsi lui scattava guardingo e rispondendo subito dopo: “andiamo di là”. Oppure, direttamente: “nel nome del Padre…”[1]

Ad un prete del genere i confratelli e gli stessi seminaristi avrebbero contestato che “non è il luogo adatto” - proprio loro, i dissacratori di luoghi e indefessi cercatori di nuovi palcoscenici da cui esibirsi - ma solo perché per loro il sacramento della penitenza è una specie di noiosa seduta dallo psicologo,[2] che non ha alcun motivo di meno di tot minuti, che non può vertere (se non di sfuggita) sui peccati effettivamente commessi, che deve includere almeno una predica personalizzata.[3]

Nel mio caso, avendo sempre vissuto la confessione come una cosa tanto snella quanto efficace, fu un po' traumatico scoprire che il rituale ufficiale del sacramento della penitenza raccomandava qualche lettura biblica da fare insieme al sacerdote, più una serie di gesti e parole che mi parvero non proprio utilissimi e che per grazia di Dio non ricordo più. Dico: uno va a confessarsi per liberarsi di qualche peso dall'anima, peso su cui probabilmente ha meditato facendo l'esame di coscienza la sera prima o in treno mezz'ora prima, e tu gli vai rifilando la lettura biblica come se fosse l'eterno indeciso sul confessarsi e con trent'anni di peccati ancora sulla coscienza?[4]

I preti oggi andrebbero arrestati per atti contrari ai doveri d'ufficio quando rifiutano di confessare (“qui l'orario delle confessioni è il giovedì pomeriggio dalle 15:30 alle 16:30”, naturale, da parte di gente che non ha mai lavorato in vita sua) o quando con quel seminascosto sorrisetto alludono alla ricca offerta ricevuta per celebrare una Messa “personalizzata”.[5] Andrebbero arrestati per truffa alla Chiesa cattolica tutte le volte che tentano di giustificare l'aver deliberatamente acconsentito a qualche porcata relativa ai sacramenti.[6] Se proprio si stufano dello pseudo-penitente chiacchierone che va a sfogarsi, che lo dicano mille volte nelle omelie e nei raduni del clero, invece che farlo pesare ai cristiani normali.


1) Non posso nemmeno dimenticare quell'emerito coglione d'un prete ciellino che se la svignava di qua e di là perché temeva come la peste che se avesse concesso al sottoscritto di confessarsi, si sarebbe ritrovato una fila di penitenti a chiedere lo stesso, ed era la sera della vigilia della Pasqua, largamente in anticipo rispetto alla celebrazione. E lui lì che controllava l'allineamento dei fiori di qua e l'allineamento dei fazzoletti di là, correva sparato in sagrestia per uscire dalla porta si servizio e rientrare furtivo dalla porta principale, si affaccia in un confessionale per recuperare il breviario ricordandosi di averlo lasciato in camera ore prima e svicola al di là della navata… Per parecchi minuti, in chiesa, ai numerosi astanti impegnatissimi ad allineare fiorellini e fazzolettini, pareva di vedere Stanlio che insegue Ollio, o Tom che insegue Jerry. Non sia mai che la sera di Pasqua un prete non possa godersi due o tre ore senza confessare. Me la legai al dito, che a causa sua non potei comunicarmi nella notte di Pasqua. Poi, suo malgrado, non ha fatto “carriera” né nel movimento, né altrove, e gli venne tolta la preziosa parrocchia esattamente quando ebbe finito di rimetterla a nuovo. Sic transit gloria mundi.

2) In certi casi hanno ragione. Una volta andammo a Messa dalle suore. Due auto, perché eravamo in otto compreso il prete. Per un intoppo non ci fu la Messa e così dopo una breve preghiera uscimmo per andar via. Uno di loro chiese al prete di andare da soli - lasciando noi sei in una minuscola utilitaria - perché doveva “parlargli”. Il prete stranamente accettò ma feci presente che andare in sei in una scatola di sardine era non solo scomodo ma anche a rischio di multa: chi si assume la responsabilità se i vigili ci fermano? “Ma no, qui i vigili non fermano mai nessuno”, disse il giovane che “doveva parlare”. Il prete cercò blandamente di convincerlo a cambiare idea, ma non ci fu verso. Insistei con fermezza: “la multa? e i punti sulla patente?” Il soggetto divenne rosso dall'ira e a denti stretti gridò come un'adolescente ingelosita: “non puoi venire con noi! è la mia macchina! e poi devo assolutamente parlargli!” e si portò il prete in macchina e partì. Scoprii tempo dopo che non era niente di urgente, se non la sua chiacchieratina segreta settimanale a cui non era disposto a rinunciare (quella che in seguito spaccerà per Direzione Spirituale). Tutto quell'“assolutamente parlargli” era addirittura programmato per prima della Messa, il che avrebbe messo noi e le suore in attesa. Quel prete veniva monopolizzato come sfogatoio personale (mi pare arduo chiamarla direzione spirituale, vista la scenetta furente). Nei seminari dovrebbero insegnare a saper dire di no a chi fa perdere tempo, e a saper dire anticipatamente di sì a chi ha paura di far perdere tempo.

3) La tradizione della Chiesa non prevede un'offerta per la confessione: darebbe luogo ad abusi, certo, ma farebbe improvvisamente diventare disponibili a qualsiasi ora anche i preti più svogliati.

4) Credo che sia un madornale errore quello di aver voluto infilare qua e là un po' di teatralità nelle liturgie: il madornale errore di voler sembrare come quegli show televisivi pomeridiani, dimenticando che nel migliore dei casi tutto ciò che hai fatto in “questa” celebrazione ti verrà chiesto - e con crescenti interessi - in “tutte le altre” che celebrerai finché permani in tale parrocchia. Il laicato è più invadente di un gas in espansione. Un supplizio di Tantalo autoinflitto da chierici vogliosi di “andare incontro” a gente alla quale bastava e avanzava l'ottemperare al precetto. Poi in curia si meravigliano che le “Messe di CL” sono partecipatissime benché asciutte, veloci e senza fronzoli. Tutto questo vale anche per la celebrazione del sacramento della riconciliazione e a tutte le altre “sacre” attività.

5) Andrebbe arrestato per atti contrari ai doveri d'ufficio anche quel mostruoso coglione, responsabile del movimento di queste parti, infatuato dell'idea di poter dialogare con qualche Ateo Convinto per somministrargli qualche espressione di don Giussani all'esclusivo scopo di vantarsene, sospirando, alla successiva scuola di comunità, neanche avesse convertito un intero popolo. Lo stesso coglione pluricertificato riuscì a tenermi in attesa per settimane prima di concedermi l'onore di autorizzarmi a telefonarlo per fissare un appuntamento - naturalmente fissato a due settimane dopo, non sia mai che un capetto ciellino sia di aiuto ad un ciellino veramente in difficoltà, ancorché non appartenente al ristretto club di orbitanti ufficiali del capetto, dotati dell'eccelso privilegio di chiedergli consiglio persino su quando e come dovevano defecare. Naturalmente non potei lamentarmene, perché l'etichetta di lamentoso ci vuole un attimo a guadagnarsela e una vita intera a scollarsela. Don Giussani l'aveva sempre saputo che per distruggere il movimento basta consentire che diventi un club. Ma ormai era passato da anni a miglior vita.

6) Quando il parroco mi volle con sé ad una Riunione col Sindaco lo seguii fervoroso pensando: ecco, ora difenderà qualcosa della parrocchia, ecco, ora dirà qualcosa a favore della Chiesa, ecco, ora almeno vorrà dire “sono parroco e mi occupo di anime e potete fare quel che vi pare purché non invadiate il mio campo”. Annuii delicatamente ogni tanto - senza troppo farmi notare, ero pur sempre una decorazione ambulante, ero stato chiamato come figurante, era solo per indurre qualche distratto a pensare: ehi, il parroco sta dicendo una cosa non banale adesso - ma tutta la riunione non parve altro che un reciproco incensarsi. Nella mia mente Il sindaco fece quel che gli pare, tutte quelle blande parole e la stessa volontaria presenza del parroco furono completamente irrilevanti riguardo ad ogni questione, furono due ore perse in nome di un'inutile diplomazia alla quale il sottrarsi non avrebbe cambiato nulla (anzi, avrebbe dato almeno la soddisfazione di poter dire: ehi, hanno preso decisioni senza consultarmi). Se proprio vogliono perdere tempo, che i preti sacrifichino ore di sonno e tempo libero, anziché sottrarlo al loro ministero: che vengano multati dalla curia per atti contrari ai doveri di stato, per tradimento della propria missione. Essere sfaticati non è reato, ma il deliberato sottrarsi dai propri sacri doveri andrebbe considerato come tale.

lunedì 15 maggio 2023

Prosegue lentamente quell'epilogo previsto con esattezza

All'ultimo momento un amico mi invita a partecipare ad un gesto del movimento, ché ha trovato un passaggio in macchina per entrambi. Non resisto al richiamo della foresta, se non altro per la curiosità di vedere cosa ne è di coloro che per forza di cose (e per demotivazione) non ho più frequentato. La delusione è consistita nel prevederlo con esattezza. Pochissime facce nuove, poca partecipazione rispetto all'epoca d'oro. Soprattutto, a parte alcuni bambini e ragazzini e qualche universitario nel servizio d'ordine, i più giovani eravamo noialtri. Come se il movimento della nostra regione avesse tirato i remi in barca proprio mentre me ne lamentavo io anni fa, e avesse continuato ordinatamente a decrescere nel frattempo.

Vero è che l'amico che mi ha trascinato lì aveva il fegato a pezzi (e la volontà di “far qualcosa” per rimediare, e nella sua semplicità aveva scelto questo gesto). Accusava la parrocchia di aver fatto perdere la fede ai figli, che dopo la prima Comunione hanno fatto di tutto per evitare qualsiasi cosa a tema vagamente chiesastico. I preti del movimento erano o latitanti, o conniventi col potere curiale.[1] Erano altri tempi quelli in cui il movimento dava risposte e sostegno.[2]

Alle varie stazioni c'era una lettura del Vangelo, una lettura “teologica”, una lettura “poetica”, e un intervento personale. Non so da dove abbiano pescato il libercolo di meditazioni preconfezionate, ma la prima impressione è che ci fossero troppe parole. La logorrea, nel giro di poche righe, faceva venir voglia di guardare ripetutamente l'orologio (e ve lo dice un logorroico certificato come tale dalla ASL). Ma se annoiava la lettura “teologica” (fra virgolette perché intrisa di licenze poetiche e di psicologismi da quattro soldi), quella “poetica” faceva letteralmente cagare. Fra virgolette, “poetica”, perché era tutto un mesto ripetere le stesse frasi, martellanti come una processione di flagellanti al ritmo del bolero di Ravel.

Gli interventi personali non erano da meno, una sorta di diario autopsicologizzato, farcito di paroloni del movimento per dare l'impressione che non si trattava di introspezione da sciampista. Dopo aver per tanti anni disprezzato e deriso lo spontaneismo da quattro soldi, ancora vediamo di queste scenette dove la probabile buonafede del testimoniante viene coperta dal manierismo ciellino che imita gli spontaneismi degli altri movimenti ecclesiali. Come se l'essersi convertiti alla fede e al movimento[3] dia una qualche abilità oratoria che debba essere sciorinata in pubblico per raccogliere applausi immaginari. Un convertito non è detto che sappia esprimersi con correttezza e chiarezza. Sarebbe bastato dirgli di essere estremamente sintetico, altrimenti via Crucis è non il gesto ma la sopportazione di tali inutili e interminabili soliloqui. E dopotutto una conversione è raramente roboante, raramente ha cose impressionanti da raccontare, e solitamente non c'è niente di esplosivo nel parlare di adorazione eucaristica, di confessioni finalmente ben fatte, di sguardo finalmente leale sulla realtà.[4]

Finalmente si giunge in cima e prendiamo posto in santuario. C'è il rito dell'adorazione della croce. L'amico che mi ha trascinato lì sgomita per alzarci per primi anche se siamo seduti nelle retrovie: presto, presto, prima che si formi la fila. Memore dei bei vecchi tempi, gli dico che dovremmo seguire le indicazioni del servizio d'ordine - quello che di solito faceva partire fila per fila a cominciare dalle ultime. L'amico sgomita ancora, vedo altri che da centro navata son già partiti sfrecciando, e allora mi lascio convincere. Fila fatta: di appena 4 o 5 persone. Rientriamo al posto mentre sottovoce gli ironizzo “tanto si va via tutti solo quando è finita, eh!”, ci sediamo, e finalmente compaiono due giovanissime facce un po' stonate a darsi da fare per il servizio d'ordine. Al termine il responsabile regionale sale all'ambone per proclamare ringraziamenti e saluti - proprio come se fosse un variety domenicale televisivo - e commette il madornale errore di indicare una cappella laterale dedicata alla Vergine. Istintivamente il popolo ciellino si sveglia dal torpore e ci si fionda, e nella fiumana umana cominciano gli scambi di saluti, fino alla prevedibile gentil cazziata del rettore del santuario (che pareva aver aspettato ardentemente quel momento).


1) Dovrei scrivere una lunga riflessione su quei pretuncoli che spendono le migliori energie della propria vita per farsi assegnare ad una parrocchia di prestigio - prestigio curiale, s'intende - lungo anni e anni, magari decenni. Tra loro, temo, c'è anche qualche prete del movimento delle mie parti. Puntualissimi nel fare il discorsone imbottito di giussanologia, prontissimi a darsi da fare (nel senso di “armiamoci e partite”) per le iniziative del movimento, ma alla fine della fiera il loro cruccio è solo di cambiar parrocchia e andare in un'altra, più grande o più piccola, più ricca o più comoda, non importa, si svegliano al mattino con quell'insoddisfazione di vivere, vanno a nanna meditando nuove strategie per convincere il vescovo. Cummannari è meglio ca futtiri, e la sola idea di Prender Possesso di una Diversa Parrocchia fa loro mettere da parte le altre tentazioni.

2) Il caro Scola, profondamente immemore delle persecuzioni subìte in gioventù per la sua vocazione sacerdotale e il suo legame col movimento, ha speso grandi energie per fare gli “auguri per il Ramadan” a gente per la quale gli auguri non significano niente e la mielosa slinguazzata è segno di disprezzabile sottomissione. Tutta la variopinta banda di “strani cristiani”, di “papi dell'Adriatico”, di “quattro sgarrupati”, si è silenziosamente, prevedibilmente, lentamente dissolta. Non si campa di soli libri e ricordi - pur avendo nettamente ragione sull'autoriduzione sinistrorsa, cortigiana e intimistica del movimento operata dal carronismo, figlio unico e degenere della giussanologia.

3) Mi permetto di ironizzarci su perché in ogni ambientino ecclesiale c'è sempre la foga di dover giustificare “perché sto in questo club chiesastico anziché in un altro club chiesastico”.

4) Come in tutti i posti dove lo spontaneismo è l'ingrediente fondamentale, le assemblee finiscono per diventare fastidiosi show di omelie personali, non dissimili dai gruppi di auto-aiuto modello alcolisti anonimi. Da troppi anni le assemblee del movimento sono diventate una tortura alla quale gli spettatori partecipano solo perché sembrerebbe disdicevole non marcar presenza.

lunedì 24 aprile 2023

Frattaglie - 19 - quel che non ho avuto tempo di twittare

È curioso come tanta gente riesca a vivere nel proprio “mondo piccolo” senza mai metter fuori il naso per interi decenni. Perfino avendo a disposizione canali come internet e media. Persone rintanate nei propri sogni, che passano il tempo a raccontarsi mentalmente sempre le stesse storie.

Le parole-chiave (buzzwords) dei giovani cresciuti a Nutella, videogiochi e pensiero debole, sono autismo, deficit di attenzione, ansia, depressione, psicologo. E naturalmente bestemmie, tanto squallide quanto gratuite, associate ad un odio alla fede professato anzitutto per paura di sentirsi rifiutati dal branco. Barbari verticali, che credono che una qualche magica apps faccia rimediare amici, fidanzata, compiti già fatti, così come le magiche pillole dai bizzarri nomi - debitamente prescritte da medici compiacenti - sopperiscano alla scalciante solitudine che si portano dentro. Sono i figli e i nipoti di quelli dell'effetto Chernobyl lamentato da don Giussani.

Un vecchio manuale per la patente di guida con spiegazioni dettagliate di ogni aspetto del motore, della trasmissione, della manutenzione… Scena successiva, lo zoomerino neopatentato che non ha la più pallida idea di come funzioni l'auto, né ne ha a proposito di inerzia, centrifuga, aquaplaning, surriscaldamento (“ma come, la ventola in azione mentre sto fermo al semaforo?”). Considera l'auto un giocattolo magico che basta aggiungere carburante per andare in giro pel mondo con la dimestichezza di un provetto di formula uno. Poi succedono incidenti dalle conseguenze grottesche e tutti a chiedersi perché le auto non siano più sicure, perché quel cattivissimo marciapiede si è testardamente inserito nella traiettoria di uno pneumatico. Ecco perché il sogno dei costruttori è l'Auto che si Guida Da Sola.

Amico che viaggia per lavoro passa il tempo in aeroporto a telefonare. Telefonate interminabili, vorrebbe compagnia, la solitudine è una brutta bestia. Qualche volta ho dovuto interrompere con mille scuse, addirittura bruscamente, perché ad ogni “aspetta, solo un'ultima cosa” svanivano altri dieci minuti del mio tempo.

La linea prodotti AmazonBasics è il risultato di aziendine acquisite dal gigante e obbligate a inserire il marchio del gigante. Che inizialmente vende i prodotti sottocosto e senza pubblicità. Poi lo rende non disponibile per alcuni mesi, per poi riproporlo a prezzo raddoppiato e allineato al mercato. A quel punto, se nell'arco di un annetto il prodotto non si vende abbastanza, quel che resta dell'aziendina viene soppresso. È la fase terminale dell'insaziabile fame di un gigante. Prima conveniva “tutto”. Poi solo le cose “in sconto”. Quindi occorreva cercarsele in mezzo a tante cineserie e finti sconti. Infine conviene quelli “a marchio” del gigante… ma solo al momento del loro lancio. Il sogno di ogni avido pelandrone è lo stesso sogno di ogni gigante: diventare indispensabile pur non producendo nulla, cioè fungendo solo da intermediario obbligatorio.

Mi fan ridere quelle che prima spargono “feromoni digitali” sui social e che poi si lamentano di quelli che le contattano (anche soltanto per chattare). È come un pescatore che lancia la rete e si lamenta di averci trovato pesce (e qualche scarpone e rottame) anziché lo scrigno del tesoro. Oggi il Nobel per l'Ovvietà Lapalissiana va alla signora del terzo piano, cinquant'anni compiuti.

Non hanno ancora dieci anni di età e già vantano di aver speso centinaia di ore della loro vita per seguire i mille e più episodi di una stupida serie anime. E io che mi lamentavo che una serie di una trentina di episodi fosse già troppo lunga.

La maggior conferma che viviamo in un'era di paganesimo spinto è lo stigma sociale contro chi non professa opinioni adeguatamente allineate ai luoghi comuni su auto elettriche, relazioni sentimentali, coltivazioni OGM, Netflix… ancor prima di discutere di temi religiosi, morali, politici, di attualità, già ti stanno etichettando con furente veemenza.

Un tarlo che mi assilla: la radice della crisi del movimento è in quell'ubbidienza di don Giussani a quando gli venne soppresso lo Studium Christi. Un'ubbidienza ad un ordine ingiusto che lui poi userà per una blanket approval di ubbidienza pressoché cieca alla gerarchia, sia pure, in innumerevoli occasioni, agendo diversamente dal principio enunciato - ma ormai il danno era fatto, e il virus del dover piacere alli superiori si farà molta strada nel movimento, fino all'autoridursi a claque (non richiesta) del Papa e dei vescovi (incluso il tragicomico cazziatone giussaniano al giovin presbitero che aveva osato ricordare al Tettamanzi che la santeggidio-santeggidio non aveva fatto in diocesi nemmeno un centesimo di ciò che aveva fatto il movimento).

“Uuh, gli snecchini”. Bimba in estasi perché pur essendo sazia e pur avendo gozzovigliato Nutella e merendine, ha un moto al cuore nel vedere che ci sono altre confezioni che richiedono di essere sventrate e vandalizzate. Ricordo di aver provato da piccolo quella stessa sensazione ma nessuno seppe spiegarmi che era il principio di funzionamento della pornografia: il “vedo, dunque voglio”, o in termini più delicati, “occhio non vede, cuore non duole”. Non penso sia difficile spiegare l'autodisciplina a un bambino, visto che quest'ultimo ha un cuore più puro di un adulto.

Ma come fanno ad esserci tante sedi di chiese “evangeliche” in giro? Ognuna di quelle son costi vivi, tasse, bollette, vicinato da gestire.

Gente che dice di sentirsi più a suo agio in camera mia che a casa propria. È come se l'arredo scarno ma essenziale, il poco spazio ma protetto da rumori esterni, la quantità di cose che affiorano quasi per sbaglio dando idea di tante passioni già coltivate, fosse uno dei loro irrealizzabili sogni.

Morto un altro lontano parente dopo alcune settimane di improvvisa malattia. Ebbe quel che cercava: proprietà, soldi, una moglie a fargli compagnia e a ereditare quanto restava di generazioni di duro lavoro di accumulazione di ricchezze. Senza figli, e da tanti anni non facevano altro che farsi compagnia a vicenda.

La folla di gente che in questo periodo si affanna a comprare bici elettriche e monopattini desidera farsi graziose passeggiate che ha una curiosa ritrosia a far comodamente con l'auto o la moto. Come se auto e moto fossero veicoli fatti per il super mega viaggio. Come se l'idea di doverli tirar fuori dal box solo per venti chilometri e un picnic-merendina fra gli alberi fosse fastidiosa e sprecona. Come se si fossero totalmente adeguati all'idea che la serenità occorra comprarsela ogni volta che la si desidera.

domenica 16 aprile 2023

Hanno tempo solo per annoiarsi

Dopo ere geologiche di felice assenza ho dovuto sorbirmi uno di quegli eventi mondani a base vagamente mangereccia, scoprendo che nel corso di tantissimi anni non è cambiato nulla. Si paga l'obolo che dà diritto ad un assaggino e una bottiglina d'acqua, si gira per le strade affollatissime di affamati, ci si distrae davanti a un manipolo di aspiranti teatranti moderni, imbacuccati di tulle peggio che bomboniere umane e che recitano in rima qualche giargianata con la sicumera tipica dell'assemblea del partito.

Ad un certo punto mi accorgo che una delle chiese più tradizionali di quel paesello era illuminata proiettandovi personaggi di vecchi cartoni animati e altre robacce dello stesso tenore intellettuale, involontariamente resa simbolo del degrado avanzato della Chiesa contemporanea.[1]Rivolgo mentalmente una genuflessione al Santissimo Sacramento e nel mentre mi passa davanti una vacca sciolta, che è tradizione anche nei periodi semifreddi l'esibirsi come quelle a caccia di clienti paganti. Le fisso la mercanzia che aveva ben scoperto, con uno sguardo autistico-scientifico, e dopo un lunghissimo istante la modesta damigella decide di riassestare con discrezione i lembi dell'indumento, che essendo per sua natura ingegnerizzato per scoprire, non era molto propenso al concedere copertura. Avrei voluto proferire - alla maniera di don Giussani - “ma no, scusi, se non c'è niente di male ad andare in giro combinata così, può anche continuare, eh, non la stavo mica rimproverando”. Ma in quell'ultima frazione di secondo in cui eravamo nei reciproci campi visivi (procedeva in direzione opposta), ho sperato che quel gesto istintivo le tornasse in mente la prossima volta che clicca (o indica alla commessa) uno straccetto sottodimensionato turboscoprente ultravalorizzante.

C'è ancora un po' di residuo di percezione di decenza in questo mondo che ha perso la fede? Sì, ma in quantità “omeopatiche”, tali che è un evento riuscire finalmente a far affiorare un vago indizio. La badante della vicina va lamentando di dover fare un altro regalo di matrimonio, a due che convivono. Ma come, obietta risentita, una volta prima ci si sposava e poi si facevano i viaggi insieme. Ora prima viaggiano (indica due fidanzatini pomicianti) e poi si sposano e pretendono pure il regalo? Eh sì, l'abito bianco indicava una virtù preservata, il bacio alla sposa indicava un inizio di qualcosa “finché morte non vi separi”. Ora invece è solo una gara a sentirsi adulti (non in senso di lavoro e responsabilità, ma in senso di lussi e lussurie). C'è poi il ragazzetto complessato (grazie al divorzio dei genitori) che investe considerevoli quantità di risorse e ansie per raggiungere l'ambita perdita di verginità e che una volta riuscitoci scopre che la vita è uguale o peggiore di prima (e quindi ci chiede se conosciamo una buona psicologa, che ormai da almeno due generazioni la figura dello psicologo ha sostituito quella del direttore spirituale). E poi la ragazzina ancora alle elementari che sfoggia un dizionario da scaricatore di porto e un vestiario da battona di fine carriera, è così perché le sue due migliori amichette son figlie di divorziati. Figlie uniche, drogatissime di attenzioni, “problematiche” quanto al comportamento e alla volontà, si sostengono a vicenda nel zoccoleggiare dimostrando cosa succede a ciechi che guidano altri ciechi. Tra la folla sbuca anche quel vecchio amico che sbaracca all'improvviso da una città (e cerca in fretta lavoro in un'altra) ogni volta che la sua principale amante del luogo lo smolla. Salvo poi vantarsi da me che lui importuna solo le sposate poiché dopo aver ottenuto servigi sessuali è più facile scaricarle, e anche qualora divorziassero sarà più facile defilarsi. Sapessi, mi diceva sgomitando, la faccia che lei aveva quando mi son presentato a sorpresa al suo matrimonio; il marito aveva girato l'invito a tutti quelli che nella rubrica lei aveva marcato come amici, magari c'erano altri amici particolari come me…

Non sorprende che in un mondo così il problema principale sia quello di ammazzare la noia.[2] Gente che lamenta di non aver tempo, e poi si annoia. Gente che compra camionate di carabattole - da palestra, da gita, da collezione, da viaggio, da indossare… - e poi non ha tempo per godersele. E quando glielo ricordi, ancor prima di lasciarti finire la rapida battutina ironica, già stanno rispondendo con stanchezza: sì, hai ragione, dovrei, ma non ho tempo. Hanno tempo per annoiarsi ma non hanno tempo per le cose di cui in teoria sono appassionate. Così, tipicamente, mettono mano al telefono, in cerca di una chiacchierata in compagnia. Il magico rettangolino luminoso, quello da cui accedono all'enorme oceano di pornografia gratuita, ha anche il tastino per la chiacchierata. “Sai, sono in aeroporto”, ed io: scusami, ma se non è una faccenda davvero urgente dobbiamo rinviare la conversazione. Con espressione gentile ma dall'accento risentito, talvolta accettano. Spesso no. “Solo un'ultima cosa… solo un'ultimissima cosa…”: ho dovuto rispondere con fermezza “ora non è il momento, ti richiamo io” e chiudere mentre ancora diceva “dai, solo quest'ultimissimissima cosa e poi concludo…”[3]

Come facilmente prevedibile, c'è tutto un mercato che specula sulla solitudine e la noia. Un amico eroicamente compra una bici elettrica per poter fare passeggiate: mi vanta le caratteristiche tecniche come se fossero stangate alla noia. Problemuccio alla batteria, sostituzione in garanzia, rimontaggio, test, funziona, ci mancava solo che dicesse “non vedo l'ora di provarla”. Ed infatti la mette a prender polvere. Anni a prendere polvere (con il contachilometri che ancora non ha raggiunto le due cifre) solo perché non aveva mai tempo, e perché abitando in collina prende sempre l'auto, sia mai che la bici lo tradisca proprio a inizio salita. O quell'altro amico che ha comprato un glorificato monopattino elettrico, dopo tre brevi uscite la prima banale caduta e si rompe il polso e dimentica tutti gli infiniti discorsi che mi aveva fatto sullo scorrazzare in libertà. Ha l'auto ma si stufa di usarla per qualcosa che non sia lavoro. Mi telefona per sentirsi raccontare delle passeggiate che faccio. Si autoinvita, perfino!, per poi dare buca perché “troppo stanco, rimandiamo”.

Nella folla che si accalcava alla festa paesana, bramosa di ammazzare la noia[4] tutta compita e ligia nell'eseguire il rituale del “compriamoci qualcosa da mangiare” (o quello tutto femminile dell'esibire la propria mercanzia[5] aspettandosi di essere notate solo dal principe azzurro), vedevo tanto agitarsi e gridare (come se ciò fosse efficace per sconfiggere la noia e la solitudine). Si può essere soli anche allo stadio, con decine di migliaia di persone attorno a te che condividono la tua passione per il calcio e le tue emozioni per il goal, senza che quell'agitarsi e quel gridare scalfisca quella solitudine.


1) È innegabile la crisi profonda in cui versa la Chiesa fin dagli anni '60. Una delle prove è che gli anticorpi a quella malattia - come il movimento di Comunione e Liberazione - è stato ossessivamente ostacolato e boicottato dalla gerarchia ecclesiale finché Giovanni Paolo II ne preparò l'elegante bara con il riconoscimento istituzionale. Nella foga di mostrarci ubbidienti, abbiamo acconsentito a farci ridurre ad altro, a farci omologare a organizzazioni chiesastico-dopolavoristiche, a nascondere e sminuire ciò che eravamo pur di inseguire un'immaginaria pax ecclesiale. Nella foga di mostrare un'ubbidienza al Papa - che c'era sempre stata ma che non necessitava di essere sbandierata come il Plus Che Gli Altri Non Hanno - abbiamo finito per diventare papisti ultrà. Fu facile esserlo con Wojtyła, ancor più con Ratzinger, per poi infine non poter scappare dalla doccia gelata di Bergoglio, “il Papa Buonasera”, col Carrón che si arrabbattava in full damage control, finendo poi lui stesso per diventare esattamente ciò che il Papa gratuitamente criticava, cioè autoreferenziale. Non fu lungimiranza bergogliesca ma solo il frutto di quel manierismo papista, di quell'aver pagato l'istituzionalizzazione con l'omologazione, di quel sostituire la compagnia guidata al destino con un attivismo di etichetta.

2) Il tragicomico tentativo di azzeccagarbugliare con espressioni al confine fra teologico e smielato (come “gioia del vangelo”) da parte di certi cattoliconi da salotto è solo la ciliegina su tale torta. Don Giussani ci ha ripetutamente messo in guardia da ogni riduzione sentimentalistica e buonistica, fin dai primi capitoli de Il Senso Religioso. Codesti campioni del sospirare beatamente - con aria melanconica se si tratta di tragedie, o con aria giuliva se si tratta di banalità -, mentre pasteggiano un elegante vermouth o fumano un ricco cubano dopo il lauto pasto, credono di poter etichettare come cinismo, misoginia, omofobia, qualsiasi cosa non segua la loro vera religione, che è quella del politicamente corretto.

3) È il classico caso di chi desidera qualcosa (nel caso specifico una relazione stabile e duratura) ma fa di tutto per impedirsi di raggiungerla.

4) Bernanos in uno dei suoi romanzi diceva che la noia è come la polvere sui mobili, non ci fai caso, si accumula, non riesci a spazzarla via che si sta già accumulando di nuovo, fino a diventare insopportabile, e che più ci si agita e più è garantito che si depositi di nuovo, tutta, dovunque.

5) Uno dei più invincibili dogmi della nostra epoca è la confusione tra bella e sexy. Fin da bambine vengono “educate” a credere che l'apparenza esterna sia tutto, e che anche la più frivola delle racchie possa urlare con arroganza: “io valgo!”.

lunedì 3 aprile 2023

Malanni psicologici e non

Se la nonna si lamentava che la musica pop dei suoi tempi era componimento poetico con accompagnamento musicale, io dovrei lamentarmi che la musica pop dei miei tempi è caos letterario su motivetti banali adattati a dilettanti con estensione vocale di mezza ottava. Ma ogni tanto capita qualche testo insolitamente rivelatore musicato in modo piuttosto professionale, nonostante siamo nell'epoca in cui il nulla prevale sul bello. Nel caso specifico - di una canzone che non nominerò perché non merita pubblicità, tanto meno il suo cantante - imbastendo un testo che ha una lettura teologica inequivocabile. È su un gioco di parole che va zigzagando fra alieni e pensieri intrusivi,[1] su una confusione fra ciò che è reale e ciò che è fuori dalla natura, sul preoccupante sentirsi ripetere “non preoccuparti”, alludendo sempre al fatto che tanti disturbi classificati come meramente psichici sono in realtà infestazioni del demonio. Al fatto che i sedicenti possessori di disturbi mentali specifici sono spesso bisognosi solo di buoni esorcismi[2] (e però preferiscono crogiolarsi nella propria penosa situazione).[3] Ma come ogni canzonetta moderna, termina prima di affermare chiaramente dove va a parare: l'ambiguità serve per far sì che ognuno interpreti a modo suo, e la maggioranza dei clienti si senta soddisfatta.[4]

Il testo ufficiale della canzone reperibile su internet non comprende le parole dette “in secondo piano” ma su un sitarello sperduto e amatoriale c'erano. Tranne una parola, reinterpretata forzosamente in positivo,[5] ma che nell'audio della canzone è chiaramente negativa (e la durezza di una consonante non lascia spazio ad equivoci). Da cui deduco che l'interpretazione teologica di quel testo è inequivocabile: l'autore, tutt'altro che cristiano, davvero stava insinuando che non tutte le patologie psicologiche sono di origine naturale.

La musica pop è tutto sommato anche un indicatore del sentimento generale della popolazione a cui è destinata. Se negli anni '50 erano poesiole musicate per gente uscita da una brutta guerra e che aveva una gran voglia di vivere e di ricostruire, nel XXI secolo è solo schifezza insensata,[6] “sacramento laico” amministrato a gente stancamente abituata a subire, ad un cadavere caldo e in decomposizione.[7]


1) Avevo già osservato che i film sugli “alieni che ti rapiscono” sono lo sdoganamento laicista del concetto di possessione diabolica.

2) Gli stessi che si fanno un vanto di bestemmiare e di sputare sulla fede e sulla Chiesa, son gli stessi che con malcelato interesse cercano robette da stregoneria, “ma solo per curiosità, eh”, sì, certo, come quelli che cercano sesso occasionale dalle Apposite Apps “ma l'ho installato solo per curiosità, eh”.

3) Lo psicologo ha sostituito da decenni il direttore spirituale. Ma in certi ambientini di universitari, è letteralmente una gara a chiedere chi conosce qualche psicologo “bravo”, “economico”, “gratuito”. Dopo una vita comoda passata fra merendine, playstation, mascherine, finzioni on-line come i Social e la DaD, all'improvviso si ritrovano adulti, in cerca di senso, in cerca della formula magica per “trovare nuovi amici”, in cerca di applausi “ehi, rispetto alla Guerra io sono dalla Parte Giusta, eh! ed anche rispetto agli LGBTP*, ed anche rispetto al Cambiamento Climatico e a tutte le altre cose di moda!” (sottinteso: come mai questa solitudine? come mai l'aver rimediato faticosamente una fidanzatina - peraltro tutt'altro che illibata al momento dell'acquisto - non basta a sopprimere quel senso di vuoto?).

4) La peggior cattiveria che ho udito su una psicologa era l'aver incoraggiato il paziente a far sesso con la fidanzata: questa, mollandolo, si è lamentata che tale psicologa ha detto al soggetto “esattamente ciò che il soggetto gradiva sentirsi dire”.

5) Anche il buon Gianni Aversano alterò un testo (da “una bestemmia per questa libertà” ad “una preghiera per questa libertà”) perché gli ripugnava invitare alla blasfemia. Ma almeno, a suo favore, c'era il fatto che nel dialetto originale bestemmia era anche sinonimo di imprecazione. Nel caso che sto esaminando io, la reinterpretazione di quel sitarello amatoriale è del tutto gratuita (perché il testo cantato realmente allude a qualcosa di preternaturale). E magari non dettata dall'ignoranza, ma dal non voler tirare conclusioni che sembrino “teologiche”.

6) Le ultime generazioni conoscono come musica solo gli effetti sonori dei videogiochi e la robaccia come io no pago afito, entrambe perfettamente descrittive della società attuale. E pensare che una volta il don Giussani lamentava l'effetto Chernobyl di ragazzi svuotati completamente dentro.

7) La supina accettazione dell'Elisir di Lunga Vita e Prosperità non sarebbe avvenuta tanto facilmente se la fede non fosse stata ridotta a un club di galateo religioso. Sembrano già svanite dalla memoria collettiva la farsa delle autocertificazioni, le strade quasi vuote per la Zona Rossa, l'isteria collettiva dei tamponamenti a catena nelle farmacie, l'imbarazzo dei commercianti riguardo al Certificato Verde e alla perdita di clienti, la multa dei Cent'Euri agli over 50….

lunedì 20 febbraio 2023

La furia dei buggerati

Sono un sopravvissuto della Prima Offensiva Vaccinale 2020-2022. Una delle grandi cose che l'esperienza del movimento mi aveva insegnato fin dagli inizi è quella sana diffidenza nei confronti delle soluzioni facili, delle pozioni magiche risolvi-tutto, del tastino magico da premere per ottenere la felicità. Specialmente quando il tastino e la pozione compaiono all'improvviso sul mercato, accompagnati da grande fanfara e da mirabolanti promesse che il giorno dopo tutti hanno già dimenticato (dopotutto così funziona una psicosi di massa), tanto sono concentrati nella foga dell'acquisto. Eh, sì, che ai primissimi tempi ci dicevano (non lo ricordate più, nevvero?) che una volta fatta la dose di questo nuovo Elisir di lunga vita e prosperità[1] si sarebbe tornati a vita normale e senza pericolo… e nessuno degli astanti ha avuto da ridire quando, il giorno dopo le dosi necessarie diventavano due e che non davano neanche metà di quella libertà tanto sbandierata, e che dovevi comunque sottoporti a tutte le altre restrizioni a cominciare dal mutandone facciale, e che rischiavi comunque di crepare in caso di imprecisate complicazioni.

Questa scristianizzatissima società ha smesso di credere in Dio e perciò crede letteralmente a tutto, perfino alle favole che inventa da sola.[2] Si sentono intelligenti perché non credono alla fattucchiera che ti somministra l'olio di serpente contro il malocchio, ma poi credono con talebana convinzione all'Olio di Serpente del Lascenzaah che ti “salva” (con mille disclaimer) dal pericolo presunto (ma non dalle morti effettivamente avvenute a causa di cure inadatte). Tutto ciò che i lorsignori “intelligenti” blaterano oggi contro il medioevo non è altro che una proiezione della società presente. Vi ricordate quegli ameni racconti sul Buio Medioevo™ dove i ricchissimi abusavano politicamente, economicamente e sessualmente dei poveri, e i poveri che non solo erano sfruttati e abusati e calpestati ma addirittura professavano complicate superstizioni che rovinavano loro la vita? Ebbene, quel Buio Medioevo™ è oggi. Superstizioni anche solo verbali: certe parole sono diventate improvvisamente tabù, mentre prosegue l'aumento esponenziale di blasfemia ed immoralità.[3]

Una caratteristica particolare di questa scristianizzatissima società è che i Nuovi Credenti© avvertono come assolutamente necessario odiare chi non la pensa come loro. Nel caso del Magico Olio di Serpente, infatti, il sottinteso è che essendo stati bidonati alla grande, non riescono ad accettare di aver torto, di aver indotto i propri cari a sbagliare, di aver firmato una cambiale in bianco contro sé stessi e soprattutto (se avranno la fortuna di averli) sui loro futuri figli. Ci si potrebbe scrivere un horror perfino senza scomodare la fantascienza. Lo intitolerei: La furia dei buggerati.[4] Verrebbe catalogato - purtroppo a ragione - nel filone zombie.[5]

Quando chiesi per iscritto di aderire alla Fraternità di Comunione e Liberazione fu perché avevo davanti agli occhi un gruppetto di amici, e dietro di loro un popolo, una compagnia guidata al destino, qualcosa che fino a poco tempo prima sarei stato incapace perfino di immaginare, pur da fedele cattolico. In quella compagnia - e nelle sue immense diramazioni che nessun giornale notava, nessun parroco o vescovo vedeva (se non come rabbioso sentimento riguardo l'esistenza di cattolici che non gravitavano attorno alle deserte strutture parrocchiarde ufficiali, a cominciare dall'Azione Caotica)[6] e nessun “cattolico praticante” aveva mai visto. Tra le tante cose buone che assorbii dal movimento c'era anche questo: se il corpo è tempio dello Spirito, avvelenarlo è immorale, no? E se ciò vale per l'abuso di alcolici o il vizio del fumo, perché non dovrebbe valere per l'Elisir di Olio di Serpente che con sospetta insistenza i Padroni del Discorso vogliono accanitamente rifilarci? E se quell'Elisir di Serpente Magico contiene linee cellulari di bambini abortiti,[7] non è forse ancora più immorale? E quando su qualche rivista medica prestigiosa certi sedicenti scienziati si vantano di aver sviluppato la Pozione Magica di Serpente in pochi giorni o addirittura in un singolo pomeriggio e poi vogliono rifilarla al mondo intero senza i tipici dieci-vent'anni di accurata sperimentazione, non ti sale qualche leggerissimo sospetto?[8] Diamine, i Professanti la Psicosi Ufficiale, per un'espressione sintatticamente sbagliata che hai proferito distrattamente al bar dello sport subito ti han dato del nazifascio, mentre per ciò che riguarda la salute del tuo corpo (e della tua anima) diventano più stupidi di una gallina addormentata?

Insomma, mi sarei aspettato che il movimento di CL avesse avuto almeno un occhio aperto di fronte alla farsa. Avesse applicato i princìpi che fino a quel momento mi aveva felicemente insegnato.[9] Avesse continuato ad avere poco riguardo per le mode del momento (specialmente quando è una Psicosi di Massa ad essere la moda). E invece.


1) Negli scorsi mesi mi son morti due parenti di “malore” improvviso, uno dei quali under 50. Intanto prosegue lo spopolamento a suon di malorimprovviso, uno stillicidio di morti che non può più essere sotterrato fra le pagine di cronaca locale.

2) Il penosissimo spettacolo di Bergoglio che chiede scusa per cose mai successe è accompagnato dall'ira funesta dei credenti nella favoletta che nonostante la cringiata papale se la prendono ancor più furiosamente coi cattolici, colpevoli di esistere. Roba che neanche nell'URSS staliniana. E vista la morte del Ratzinger, dobbiamo prepararci a scenari peggiori.

3) Altrove avevo scatenato un pandemonio perché ad uno che aveva osservato che Biden era nuovamente positivo nonostante le tante “dosi”, avevo risposto con un pizzico di ironia. La Psicosi di Massa non ammette ironie: colpevole!

4) Va da sé che coloro che obtorto collo hanno firmato per ricevere l'Olio di Serpente perché ricattati sono furenti in misura proporzionale alla possibilità che avevano di scamparla se avessero resistito un po' di più. Non oso girare il coltello nella piaga di coloro che si sono arresi a dicembre 2021 o addirittura nei primi mesi del 2022. Uno di costoro ha già avuto un evento preoccupante di natura neurologica.

5) Sospetto che buona parte dei buggerati di mia conoscenza, se per ipotesi avessi potuto dir loro “ti dono io l'equivalente dello stipendio finché resisti”, avrebbe ultimamente ceduto comunque all'Olio Magico di Serpente Magico, per le pressioni sul luogo di lavoro e per il non poter andare al matrimonio del cugino sprovvisti di grimpasso. Due anni di terrore che i fautori e i complici, anche i più piccoli, stanno cercando di farci dimenticare la parte relativa alle pressioni.

6) Ogni cattolico italiano sano di mente prova un profondo disgusto verso l'Azione Cattolica perché da un po' di decenni si è ridotta è un mefitico pastone di buonismi, psicologismi d'accatto, sentimentalismi, autoreferenzialità, e regge in piedi solo per la cieca sponsorizzazione della Conferenza Episcopale. Un vecchio amico che si dava tanto da fare nell'AC fu messo alla porta per aver insegnato qualche semplice concetto cattolico ai ragazzi (figuratevi se avessero scoperto che era roba che aveva letto da Piccole Tracce). Non sia mai che l'AC trasmetta la fede.

7) Non si trattava di un “può darsi di sì, può darsi di no, chissà” ma di un dubbio positivo, di quei dubbi che vanno fugati, che richiedono una dimostrazione contraria. Se in un angolo inaccessibile della dispensa trovi una confezione di pasta strappata vorrai assicurarti che qualcuno si prenda la responsabilità di dirti “ce l'ho messa io stamattina”: fino a quel momento continuerai - giustamente - a sospettare che sia stato un topo.

8) Salvo poi scoprire che già nel 2019, con rimarchevole preveggenza, avevano già praticamente pronta la soluzione al problema che nessuno degli avidi meditatori di giornali e telegiornali avrebbe mai immaginato. L'aver perso la bussola della fede ha portato non certezze ma idolatrie. Che sono costate care.

9) Parlo della Cielle genuina, quella non riducibile a una sterile ripetizione di citazioni di don Giussani e di qualche VIP (Very Important Prelato). Quella Cielle “seminascosta”, quella che magari addirittura suo malgrado mi trasmetteva senza sforzo notizie e dati sugli inesauribili tesori della fede, come in quelle brevi ma intense conversazioni in macchina o in stazione.

lunedì 2 gennaio 2023

Il limite fondamentale degli anime e manga

Dopo aver abbandonato a metà l'ennesimo anime sopravvalutatissimo da un pubblico sempre più intontito ho di nuovo un'irrefrenabile voglia di lamentarmi dell'industria anime-manga.[1]

Il problema nasce nel fatto che è un'industria. Cioè qualcosa in cui detterà legge ciò che si vende meglio. E quindi le circostanze possono affossare un'opera tutto sommato buona, o far salire alle stelle un'opera mediocre perché sul mercato in quel momento erano tutti più mediocri. (Sembra quasi parlare della scuola, o per certi versi dell'università, o di quella giungla comunemente denominata mondo del lavoro…)

Un mangaka spara un'idea ambientativa iniziale,[2] ci costruisce attorno dei personaggi, e fa tutti gli scongiuri quando va dall'editore perché ha il terrore di sentirsi dire: “dal prossimo numero chiudiamo, hai buone idee ma non riesci a seguire la nostra linea”. E così deve inventarsi di volta in volta qualche colpo di scena, qualche mistero segreto e misterioso, qualche cliffhanger per tener alta l'attenzione dei lettori e la benevolenza dell'editore. E così l'arco narrativo iniziale, che si sarebbe felicemente concluso in una mezza dozzina di episodi, una decina al massimo, vede susseguirsi l'introduzione di nuovi personaggi, l'introduzione di complicazioni della trama, l'introduzione di contorte psicologie di personaggi primari e secondari per giustificare allungamenti di brodo, l'introduzione di recap e ricordi e interminabili dialoghi pseudofilosofici, l'introduzione di segreti misteriosamente segretissimi che prossimamente verranno svelati… Figuratevi quando l'editore acconsente all'introduzione di elementi di magico, psicologico, pseudoreligioso, horror, e (purtroppo c'è da vendere anche nel mercato americano) di fan-service LGBTP*, SJW, anticattolicesimo d'accatto,[3] più il dotare i protagonisti-ragazzini di mentalità da quarantenni stagionati e riccamente acculturati.[4]

Alla casa editrice non interessa il contenuto della storia. Interessa solo monetizzarla, estrarre soldi. E questo già ha incancrenito da più di mezzo secolo i manga, “costretti” a inserire fan-service (cioè immagini sessualmente stuzzicanti[5] ma del tutto inutili ai fini della trama, della caratterizzazione, del valore complessivo dell'opera) a tutto spiano, anche nelle serie per ragazzi,[6] come il sopravvalutatissimo anime di cui sopra, che conteneva inutili allusioni sessuali (per di più riguardo a minorenni).[7] Valgono come fan-service anche tutti quei prevedibili e stantii cliché per vendere gadget, pupazzetti, merchandising in generale: un personaggio pelosetto - meglio ancora se del cast protagonista - consente di stuzzicare i furries[8] e di vendere ancor più gli immancabili peluche.

Così la tipica serie manga - e il suo corrispettivo anime quando viene animata con un minimo di fedeltà - è fatta di uno o due episodi “esplosivi” iniziali, quindi uno svolgimento che a null'altro prelude se non un'infinità di allungamenti di brodo, di aggiunte di pretesti, contorsionismi, forzature maldestramente celate da rivelazioni di super segretissimi segreti misteriosi, Deus ex machina per aggiustare il tiro qualora stesse cominciando ad andare nella direzione giusta, spiegazioni di cose appena inventate (techno-babble in tutte le salse). Per poi concludere con poco meno di un colpo di accetta quando la direzione editoriale si sveglia con la luna di traverso e decide che è ora di concludere.

Le serie meno peggiori, dunque, sono fra le serie anime create ex novo, cioè con un progetto iniziale preciso, una storia lineare, uno svolgimento proporzionato. Ma vengono generalmente annacquate dalla cadenza settimanale della trasmissione degli episodi perché la direzione editoriale possa alterare in corso d'opera lo svolgimento, e lanciarsi nei deprecabili vizi sopra citati, cioè allungare il brodo e alterare lo scenario per facilitare la vendita di gadget. Negli anime dove si menzionano le difficoltà del produrre anime si insinua che la reazione degli spettatori darebbe al team di produzione spunti per correggere la rotta strada facendo… ma anche questo è fan-service, solo più sopraffino.[9] Che un episodio non dia reazioni entusiasmanti, è poco rilevante rispetto alla pianificata vendita di dischi blu-ray e di merchandising.

Certo dev'essere frustrante, in corso d'opera, sentirsi gridare dal capo: “ehi, questa robaccia si vende bene, allunga subito la trama! Ti avevano detto 12-15 episodi, ora il management ce ne chiede almeno 24! Anzi, facciamo 36!” È il destino di tanti ragazzotti sognatori, cresciuti a merendine, anime e manga,[10] decisissimi a lavorare nel campo,[11] pronti ad accettare paghe da fame e orari massacranti, e scoprirsi trentenni a non aver messo nulla da parte e ad essere stati sostituiti da altri più giovani, più in salute, e non ancora in burn-out.[12]

Si potrebbe obiettare che alle case editrici si può benissimo presentare un intero manga già completo, in cui ogni capitolo contenga una parte proporzionata della trama anziché arzigogoli e acrobazie dipendenti dall'umore lunatico dell'editore. Ma all'editore non piacerà troppo una simile idea, perché ciò che sulla sua scrivania gli può sembrare qualcosa di ben scritto e promettente, in fase di avanzata pubblicazione può rivelarsi una rogna da gestire. Metti che stai pubblicando una serie d'azione che contenga la scena di un'esplosione di un reattore nucleare… e ti scoppia il caso Fukushima. L'editore non ha tutti i torti nel pretendere di poter modificare la trama (o concludere anticipatamente… o allungare il brodo): il problema è che è già abituato ad abusare di questo potere. E se la storia preconfezionata sta vendendo bene, vorrà già prenotare una seconda stagione, in cui dovrà succedere questo e quello, i personaggi dovranno adeguarsi ai desiderata politici, woke, gender, e altre mode.

Comporre un intero manga senza la supervisione editoriale (che infliggendoti determinate scelte se ne prende un po' la responsabilità) implica partire avendo le idee chiare su come si racconta una storia. Idee che non tutti hanno - specie questi autori giapponesi bravissimi a disegnar colpi di scena, eccellenti nel progettare misteri segreti e misteriosi, ma talmente abituati a farsi dettar legge dai capi da essere incredibilmente incapaci di scrivere una storia coerente, equilibrata, sensata, gustabile fino alla fine. Non hanno mai letto la Flannery O'Connor quando dice che aveva appena deciso che il personaggio aveva una gamba di legno, e già ne intravedeva gli spigoli del carattere, già sapeva che il personaggio lo aveva trasformato in un feticcio e che lo considerava un lasciapassare perpetuo. O quando dice che i personaggi delle sue novelle non li “costruisce” ma li “segue”, li osserva. E soprattutto non hanno mai letto le novelle della O'Connor fermandosi a riflettere sull'escalation col botto finale. Novelle in cui non c'è una sola sillaba superflua, in cui ogni pagina mette a poco a poco il carico da novanta sulle precedenti.

Per essere buoni scrittori occorre essere anzitutto buoni lettori. Direi che in questo i giapponesi falliscono miseramente, perché aver fruito per tutta una vita di anime e manga li fa rarissimamente emergere come autori.[13]

Per produrre un manga coerente (e ancor più in caso di anime) occorrerebbe non dipendere da soggetti esterni. Cioè lavorare in proprio finché l'opera non è perfettamente delineata. Cioè costruire per bene personaggi, trama, ambientazione, “segreti”, ben prima di cominciare a scrivere la sceneggiatura.[14] Dopodiché allestire un episodio “zero” da non pubblicare,[15] in cui includere la logica dei “segreti” svelati successivamente, e presentare - anche solo parlandone - tutti i personaggi (e i legami che saranno oggetto di future allusioni). Quindi lavorare sugli episodi “uno” e “due” assicurandosi che vi siano almeno accennati tutti i personaggi che compariranno successivamente e tutte le situazioni che introdurranno apparenti cambiamenti nella trama (non è che al ventesimo episodio ti inventi che “c'era sempre stata una guerra”… L'ultima cosa che vuoi rifilare al lettore o spettatore è una novità appena improvvisata).

Chi ben comincia, è già a metà dell'opera. Perciò questo “ben cominciare” deve consistere nell'aver sempre le idee chiare, fin dall'inizio, di cosa si sta descrivendo (attenzione, non “scrivendo” ma “descrivendo”) e di fare il primo buon passo iniziale (cioè usare gli episodi “uno” e “due” non per raffazzonare colpi di scena galattici come esca per i lettori, ma per partire col piede giusto).[16] Negli episodi successivi la storia andrà distribuita in modo proporzionato: quando sai cosa c'è da raccontare, puoi anche abbozzare in anticipo i contenuti di ogni singolo episodio, conservandoti l'opportunità di piallare eventuali difetti prima di finalizzare la storia. Infine può cominciare la realizzazione vera e propria, disegnando e applicando i dialoghi.[17]

Più di un editore rifiuterà di avere a che fare con un'opera già completa.[18] Qualcuno troverà mancanze vistose, altri troveranno elementi che richiedono urgente modifica.[19] Ma l'autore deve avere anche il fegato di proporre l'opera con la formula del prendere o lasciare, a costo di pubblicarsela a spese proprie (il che richiede tenacia e soprattutto soldi) perché ogni volta che ti fai straziare l'opera in nome di una possibilità in più di pubblicarla, ti sei giocato non solo un po' di dignità ma anche di creatività.


1) Come tutti i miei rant, anche questo è una paginata interminabile. Trattandosi di un blog - cioè con un pubblico che non si sa se, quando e quanto leggerà - non riesco a fare a meno di aggiungere precisazioni, chiarimenti, considerazioni. Ogni tanto ci si lasci gridare: abbasso la sintesi, viva la logorrea.

2) Ci sono autori che riescono a sparare una “grossa idea iniziale” perché tirano direttamente fuori i propri torbidi interiori. Come un'autrice di una truce storia fantasy a base di maghi, demoni e magie, in cui pressoché tutti i personaggi rappresentano o una fase della sua vita (come la tredicenne impacciata), un suo ideale (come il bel protagonista in giacchetta e auto vintage), un suo familiare (come il mago capoclan in cui raffigurare il padre importante ma assente)… Il manga, in sé, al di là della cura maniacale nei dettagli disegnati, non è molto avvincente (e comunque sa spesso di allungamenti di brodo) ma ha avuto il suo piccolo successo (e il fedele adattamento anime) perché i personaggi non erano tagliati con l'accetta.

3) Come quella vecchia serie ambientata in Brasile, gettonatissima in Occidente solo perché entro il secondo capitolo faceva una sgangherata critica a certo cattolicesimo salottiero.

4) Come in certi libelli settecenteschi dove coltissime pastorelle discettavano di massimi sistemi con mandriani filosofi. Solo che stavolta è produzione giapponese.

5) Il motivo principale per cui raramente consiglio un anime o manga (o addirittura ne menziono dettagli senza indicare il nome dell'opera) è che il lettore-tipo si soffermerebbe anzitutto su ciò che gli stuzzica i soliti istinti, sulle scene più superficiali, sulla pretesa di valutare l'opera secondo la coincidenza coi propri strambi gusti del momento. Ma anche no, grazie. Tenetevi pure i vostri infantilismi modello Pokémon e One Piece, tenetevi pure i vostri pornetti travestiti da subcultura orientale, vi meritate davvero di “appassionarvi” a robaccia così stupida.

6) A quanto pare il tipico lettore-spettatore giapponese prova una sensazione simile al piacere sessuale quando vede qualche personaggio imbarazzato per questioni di pudore o di sessualità, tanto più se quelle questioni non c'entravano nulla con la storia raccontata e con la morale dell'opera.

7) Da decenni ai piani alti c'è un intensissimo lavorìo per sdoganare la pedofilia (proprio mentre i più sembrano ancora ufficialmente condannarla), ma ai piani bassi - come la tipica casa editrice giapponese che lamenta qualche Grande Morìa delle Vacche - si sa bene che a spendere una fraccata di soldi in gadget e merchandising (e acquisto degli originali delle opere anche dopo averle già seguite per intero) sono proprio i soggetti che faticano a tener a freno le proprie fantasie. È come quando un obeso compra un aggeggio da tremila euro beccandosi una cocacola in omaggio, senza la quale l'acquisto sarebbe stato incredibilmente “in forse”. E così nella tipica casa editrice si saranno detti: che c'è di male a mettere un pochino di fan-service in modo da sfangarla anche nel prossimo trimestre?

8) I soggetti che si travestono da animali sembrano dotati di un vasto campionario di esecrabili vizietti.

9) Ad esempio nelle varie Genshiken e in Shirobako. In quest'ultima si fa anche notare che nell'imminenza del finale di una serie, il direttore artistico inventa una vaccata del tipo “oh che bello il sentimento di amicizia”, per tirare disperatamente a riva una serie che brancolava nel buio da tempo. Un po' come le arzigogolate del parroco che non riusciva a trovar modo di concludere l'interminabile omelia domenicale.

10) Mi suscita una notevole ammirazione l'aver sempre notato in tutte le produzioni anime e manga, il sottile insegnamento di buone norme di civiltà - i protagonisti, salvo qualche eccezione nelle scene che devono far ridere, sanno rivolgersi agli adulti e ai superiori in modo formale, seguono buone norme di igiene, guidano con prudenza, mangiano frequentemente pasti genuini, ben preparati, anzi, amano cucinare e senza strafare… E risuona come un sacrificio il non poter seguire igiene e dieta sana, ed emerge come fastidioso o deprecabile chi non si attiene all'etichetta. Perfino quelle sempre più rare volte in cui un soggetto fuma.

11) Mi ricordano i tipici adolescenti italiani che dopo aver sprecato tutta la propria giovinezza su stupidi videogiochi, decidono eroicamente che vogliono diventare programmatori di videogiochi, per poi scoprirsi incapaci alle superiori e di buttarsi su qualcosa di “facile” al momento di scegliere l'università. Si ritrovano quindi trentenni, con un titolo di studio misero, ad accorgersi finalmente di aver bruciato pressoché tutto il loro tempo libero sui videogiochi senza riuscire a diventare almeno programmatori di serie B.

12) L'industria anime giapponese è un tritacarne come pochi altri. Il paradosso è che è proprio il massiccio turn-over a evitare di far la fine degli sviluppatori software, che al burn-out ci arrivano attorno ai quarant'anni, in genere troppo tardi per riciclarsi altrove.

13) Sono incredibilmente poche le produzioni anime o manga degne di essere definite belle storie. Anche quelle di maggior successo poggiano infatti sull'aver girato e rigirato attorno a qualche idea brillante, ma non sono memorabili. Ad esempio Code Geass affascina per la strategia militare e il problem solving (seppure debitamente inquinati da puntuali e inutili colpi di scena), ma per il resto è un elenco di storiette adolescenziali banali cucite insieme alla buona. Ed anche Shingeki no Kyojin, che a detta del suo stesso autore doveva trasporre la questione del bullismo, diventa vittima del suo stesso successo con infiniti allungamenti di brodo e patetiche divagazioni pseudofilosofiche.

14) La O'Connor potrebbe non essere del tutto d'accordo ma qui parliamo di opere da vedere più che da leggere. E cioè che prima di essere realizzate visivamente devono essere raccontate (nel senso di preparare una sceneggiatura). E parliamo di autori dilettanti o comunque non eccelsi, che in ogni momento della produzione dovrebbero aver ben chiaro dove andare a parare anziché dover decifrare ogni volta da zero un qualche concetto astratto.

15) Nulla vieta che un episodio “zero” venga pubblicato in futuro come bonus track ma la sua realizzazione serve anzitutto a consolidare le idee all'autore.

16) Ricordo una serie anime fantascientifica in cui nel primo episodio un super mega mostro irrompe in casa di una ragazza in un remoto grattacielo - guarda caso una espertissima di armi e indagini, era la figlia del capo della polizia, mica la tipica italiana che rosica per non aver avuto almeno una decina di Like sul suo ultimo TikTok - e la aggredisce mentre questa si sdocciava. Ma poi misteriosamente scappa via senza ammazzarla. E lei, solo un pochino spaventata, comincia ad indagare per fermare il mostro. Segue quindi una ventina di puntate dove il mostro compare, ammazza un sacco di gente, e scompare, e nel frattempo si accumulano segreti su segreti, misteri su misteri, e l'incredibile coincidenza che nessuno ostacola la protagonista. È letteralmente il peggior inizio di storia che si potesse immaginare, anche in vista della prevedibilissima rivelazione che il mostro e la ragazza abbiano un qualche legame. Non è uno spunto di una storia, è solo un fan-service con zero spunti.

17) Disegnare solo dopo aver ben chiari i contorni della storia è meno complesso di quel che sembra ma richiede costanza e visione d'insieme. Anche un mediocre artista ha sempre le idee chiare su cosa deve contenere l'opera. Ad un grande artista l'opera quasi sempre “sfugge di mano”, suo malgrado, fluisce interamente senza accurate pianificazioni. Ma anche un dilettante ben determinato e con una chiara visione d'insieme, può - seppure con più fatica di un grande artista - produrre qualcosa di apprezzabile.

18) L'editore che si lamenta del contenuto ha a cuore le vendite, non il contenuto (è la definizione ironica di Letteratura Moderna e Contemporanea). L'eventuale correzione di bozze è un procedimento che richiede poca intelligenza, non è un arricchimento dell'opera. E sempre ricordando che l'editore, nel caso di anime e manga, è abituato all'insindacabile libertà di pretendere variazioni in corso d'opera. Per questo occorre presentarsi con un'opera già completa e consolidata, su cui si è lavorato senza darsi una scadenza precisa per la pubblicazione. Anche per quanto riguarda il tempo perso con gli editori a cui è stato necessario dire di no.

19) La stessa O'Connor veniva criticata perché le sue novelle contenevano “troppa violenza”. Ma ancor prima di leggere la sua risposta a tali critiche avevo già capito che chi le muoveva si era limitato a considerare la novella un elenco di eventi: tizio dice questo, tizia fa quello, infine tutti felici e contenti, con dosi predeterminate di violenza accettabile e di turpiloquio tollerabile. Proprio quel genere di persone che letterariamente non vede al di là del proprio naso e che - per esempio - considererebbe Il nome della rosa un giallo ambientato nel Medioevo anziché un trattato filosofico-iniziatico sul quale c'è confezionata come copertura una storietta anti-monaci. L'affermazione “nuda nomina tenemus” - nominalismo infilato alla fine di un crescendo inteso a negare la realtà (della realtà avremmo “solo nudi nomi”) - è in latino affinché gli incolti credano di aver solo letto un romanzo.