giovedì 16 dicembre 2010

Il parafulmine della Chiesa

L'esile suorina passava davanti ad ogni altare laterale fermandosi per alcuni momenti in preghiera, talvolta inginocchiandosi (in un caso direttamente sul pavimento), sempre incurante delle chitarre strimpellate durante la sciatta liturgia in corso in quel momento.

Era come se stesse “caricando” di preghiere quelle statue e quei quadri, sicura che delle sue silenziose invocazioni beneficiassero tanto i parrocchiani quanto le anime nei più lontani angoli del mondo.

Non capita tutti i giorni[1] di vedere con i propri occhi il “parafulmine della Chiesa” in azione.


1) Purtroppo!

sabato 11 dicembre 2010

Una classe "indimenticabile"

Leggo su un muro una scritta che inneggia alla classe più indimenticabile di una certa scuola, classe che ha terminato con la maturità alcuni anni fa. Resto lì attonito a domandarmi: indimenticabile? Indimenticabile da chi? Forse dagli insegnanti? Forse dagli studenti stessi? Forse dal personale non docente?

Su muri più vecchi si possono ancora leggere scritte quasi del tutto sbiadite: «settimo scaglione dell'ottantanove, massicci». Perché comunicare una cosa del genere?

Mi figuro per un attimo la mano emozionata che tentava di lasciare al resto del mondo testimonianza dei propri bei ricordi (avendo già provveduto a cancellare il ricordo dei momenti di noia, di sofferenza, di ingiustizia, di fatica, di dolore...)

Nel cuore dell'uomo c'è il desiderio che ogni bel momento sia rivivibile, anzi, interminabile. C'è il desiderio che ogni attimo già vissuto sia consegnato non all'oblio ma all'eternità. C'è il desiderio che ogni piccola cosa bella sia ingigantita e prolungata e, quand'anche finisse, c'è il desiderio che il suo ricordo restituisca ancora tanta felicità. C'è fra tutti il desiderio di dire a tutti, di gridare all'universo, di testimoniare ovunque quella felicità vissuta e ancora vivente.

Insomma: nostalgia del paradiso.

Tutta quella sete che abbiamo in cuore sarà saziabile solo lì. Tutto ciò che ci viene da desiderare è in fondo in fondo un vago riflesso di quella comunione perpetua, illimitata, infinita, che solo Chi ci ha creati può darci.

venerdì 10 dicembre 2010

Milagros

Ieri in tarda sera mi telefona un amico, emozionato e trafelato, per parlarmi di Lamberto: due settimane di coma per un'emorragia cerebrale e i medici che continuamente gli davano non più di tre ore di vita. Ora, dopo alcune settimane, quegli stessi medici non sanno come spiegarsi il suo recupero: telefona, cammina, fa le scale.

Da venti secoli ciò che scandalizza dei miracoli è che non sono come ce li aspettiamo (cioè magie con effetti speciali) e che non giungono a comando (cioè quando pensiamo di meritarceli).

martedì 7 dicembre 2010

Ancora su quella infinita sete

Tipica dinamica umana: l'accecamento da vizio capitale. Non riesce a rubarlo e perciò lo danneggia con furore. Non riesce a conquistarla e perciò la calunnia meticolosamente. Non trova pace e perciò s'inventa un passatempo da vantare come felicità ma... nei primi giorni non riesce a sostenere l'impegno e perciò sente l'urgenza di dire a tutti che è una colossale delusione.

Il nostro tipico limite è che abbiamo un tambureggiante desiderio di felicità in cuore e la mancanza più assoluta di mezzi per realizzarlo. Così ci si contenta delle più sbiadite immagini di felicità trovate a portata di mano e si decide di odiarle qualora risultassero irraggiungibili. Ma la sete è sempre presente, è invincibile, specialmente quando vengono raggiunte.

C'erano quei due, l'altra sera, abbracciati teneramente. Ma lo sguardo di lui era diretto altrove, nel vuoto (quanto dev'essere disarmante e seccante per una donna accorgersi che l'uomo che la sta abbracciando ha la testa altrove!) Lui era probabilmente uno di quelli pronti a dichiarare ad un notaio e in mondovisione «sono il più felice del mondo», ma quello sguardo perso, insoddisfatto, triste, accusante una “mancanza”, era lì stampato sul suo volto smarrito.

Torna in mente Cesare Pavese, quando dice che c'è una sola cosa peggiore del non riuscire a realizzare i propri desideri. È il realizzarli. Realizzare cioè quelle immagini sbiadite e accorgersi che quella sete in cuore tambureggia più che mai.

sabato 4 dicembre 2010

CairoMeeting

Mentre certi soloni ecclesiastici pontificano di dialogo ecumenico dall'alto delle loro cattedre e senza mai uscire dalle loro biblioteche, nel mondo reale e non virtuale avvengono eventi semplicemente inimmaginabili. Come il Meeting al Cairo, in Egitto, “figlio” del Meeting di Rimini.

Quando vedi qualcosa di grandioso, la prima idea è di mostrarlo a tutti gli amici, ai parenti, alla tua famiglia. Vorresti una cosa così anche a casa tua. Nel cristianesimo è sempre stato così: col centurione si convertì anche “tutta la sua famiglia”, aveva portato quel qualcosa di irresistibile nella sua casa, ai suoi più cari.

Un Meeting in Egitto: ci sono riusciti prima di Taiwan e Kazakhstan. «Sembrava impossibile...» titolano su Tracce[1]. Infatti il punto non è “chi ha detto cosa”, ma “come è stato possibile” che sia successo. E la spiegazione non piacerà nè ai giornalisti nè ai severi misuratori del Potere Politico di Cielle.


1) Sul numero di novembre 2010; gli altri articoli si trovano cercando Cairo su Tracce.it.