giovedì 29 agosto 2013

L'epidemia di ipersuscettibilità

Nell'era delle tecnologie, della cultura, delle conquiste scientifiche, della laurea di massa, un nuovo tipo umano s'avanza: quello riducibile ad un banale fascio di reazioni.

Mi sono scontrato ancora una volta con uno di questi casi. Fino ad oggi la maggiore evidenza che ricevo dalla società contemporanea è quella di una diffusissima malattia epidemica: l'ipersuscettibilità (di cui il politicamente corretto e l'ipocrisia borghese sono solo i sintomi, non la causa). Recentemente ho avuto l'ennesima possibilità di osservare da vicino uno dei virus che provocano quella malattia.

Il caso in questione ha un che di paradossale. Tizio accusa Caio di odiare Sempronio, vantando prove che si rifiuta di dare. Sempronio odia Tizio ma gli crede pur sapendo che le accuse sono false. In questo si inseriscono Tizia rifiutata da Caio e Sempronia segretamente innamorata di Tizio, anch'esse propense a credere a ciò che la ragione e l'evidenza indicano come falso. Sullo sfondo c'è anche Caia a muovere guerra un giorno a loro, un giorno agli altri, per motivi non difficili da identificare come invidie del momento. Tutto un ridicolo e mutevole castello di insinuazioni, un articolato intreccio di accuse e menzogne, che ha strascichi anche su lavoro e famiglie, e che sarebbe tremendamente noioso anche solo cercare di riassumere.

La loro costante fondamentale è l'aver ridotto arbitrariamente i criteri per distinguere la verità ad uno solo: la sensazione del momento. È come se ognuno dei partecipanti di questo spettacolo autogestito dicesse qualcosa come: oggi mi sento generoso, perciò la verità è questa cosa che vedo in questo momento. Oppure: oggi mi sento innamorata, perciò la verità è lui, anche se mi ha respinta mentendo e umiliata di proposito. Oppure: oggi mi sento annoiato, per cui qualsiasi cosa incontro è da qualificare come falsa e aggressiva. Tutto cortocircuitato alla prima sensazione.

L'uomo ridotto ad un fascio di reazioni è il prodotto perfetto della rivoluzione iniziata cinque secoli fa e in continuo crescendo. La ragione totalmente soggetta alla sensazione del momento, a sua volta guidata da piccinerie e da fattori del tutto casuali. Le cose importanti della vita devastate in un attimo di temporanea simpatia o antipatia. L'amore ridotto ad una pretesa passeggera e infondata. L'odio profondo, gratuito, devastante, cieco, perfino a sé stessi, qualora sia percepito come supporto per la sensazione del momento. E perciò anche l'allergia a qualsiasi cosa possa essere vagamente percepita come misericordia. Infine, naturalmente, la totale frustrazione di qualsiasi tentativo di tirare in ballo ragionevolezza ed evidenze.

Una delle prime domande che mi posi nel conoscere l'opera di don Giussani è come mai avesse dato tanto spazio a temi come la ragione, il sentimento, l'incontro, il senso religioso... Davo cioè per scontato che fosse ragionevolmente facile poter discutere rimanendo onesti con la realtà. Pensavo che non fosse troppo difficile far venir fuori un po' di evangelica “buona volontà”. Non immaginavo neppure lontanamente che don Giussani si fosse scontrato proprio con i devastanti effetti di quell'epidemia, diagnosticandola proprio alle sue origini.

“Effetto Chernobyl”, lo aveva chiamato. Fuori sembra tutto lo stesso di prima, dentro è invece tutto devastato e ridotto ad un fascio di reazioni, di passioni di un attimo, di sensazioni momentanee. Fuori è un'apparenza di razionalità, di organizzazione, di criterio; dentro, invece, tutta l'energia umana è a disposizione della sensazione del momento. Tutto costruito sul nulla, come una bolla di sapone che può svanire da un momento all'altro.

Avere non dico un rapporto, ma almeno un brevissimo e banalissimo dialogo, con quel genere di persone, è una pura lotteria. Una singola parola inoffensiva può scatenare guerre infinite, come sopra accennato; uno sguardo qualsiasi (persino quello di totale approvazione) può scatenare l'apocalisse; e in tutto questo anche le più elementari verità, anche le più manifeste evidenze, vengono considerate interpretazioni sbagliate, menzogne, calunnie. E non si tratta di drogati strafatti di acidi, ma di persone apparentemente “normali”, che vivono una vita “normale”, con cui pensavi di avere un decennale rapporto di “normale” amicizia.

E improvvisamente scopri l'inutilità del sudare sette camicie per far notare una lampante evidenza: sono davvero venuti i giorni in cui comincia a diventare necessario mettere mano alla spada per poter affermare che il cielo è blu.

domenica 25 agosto 2013

Al ritorno dal Meeting

Ripesco alcuni appunti dal quadernetto che uso da diversi anni.

Appunti a margine del Meeting 2011:
Pochi giorni prima di andare al Meeting leggevo distrattamente un articolo che diceva tra le altre cose che la parte più importante erano le mostre. Quelle parole mi hanno colpito perché l'autore, poiché troppo attento a noiose cose di politica, non sembrava uno del movimento di Comunione e Liberazione.

Sì, quest'anno pure mi sono goduto il Meeting. È stato un po' meno “faticoso” degli anni scorsi (anche come incarico ricevuto) perché ho seguito meno incontri, concentrandomi più sulle mostre. Ho avuto l'impressione che sul palco, agli incontri, ci fossero troppi politici e imprenditori: è stato come se il Meeting, nella foga di accontentare tutti gli aspiranti ospiti e di rappresentare tutti i colori politici e del mondo del lavoro, da alcuni anni stesse di fatto cedendo terreno alla mondanità, avvicinandosi (sia pure in rari minuscoli passettini) a diventare come lo definiscono i suoi denigratori: una kermesse di politici e industriali. Forse per questo i notiziari sono stati un pochino più indaffarati e compiaciuti.

Ho sempre considerato il Meeting come l'università: vai a lezione, prendi appunti, vi trovi gli amici con cui condividere quel che vedi e quel che vivi, a pranzare insieme o passare tutti allo spettacolo o a farti presentare qualcuno e la rete di amicizie si allarga fino all'incredibile. “Università” perché si apprende di tutto, “Meeting” perché hai più occasioni significative in quei sette giorni che nel resto dell'anno, e - argomento più importante - tutto permeato di quella fede cattolica, fondato su quella “ingenua baldanza” di chi è mosso da un incontro concreto piuttosto che da un progetto. Ecco perché avevo sempre pensato che vale la pena spendere quasi tutti i risparmi dell'anno per andare al Meeting.

Le “lezioni” di tale “università” erano infatti gli incontri e le presentazioni di libri e mostre: c'è sempre qualcosa da imparare, c'è sempre un testimone della fede, c'è sempre qualcuno che ti sa ridire in poche parole e in modo mille volte più chiaro ciò che hai sempre creduto. A meno che l'incontro non sia solo l'occasione pubblicitaria per qualcuno che vuol parlare di sé stesso, e che centellina parole religiose qui e là solo per tenere desta l'attenzione del pubblico.

Anche quest'anno è stata “università” ma ho bigiato più lezioni. Solo il martedì c'erano più di due incontri interessanti nella stessa giornata. Qualche anno fa mi lamentavo di non riuscire a seguire tanti incontri nello stesso giorno (mandando giù plotoni di tazzine di caffè); quest'anno ho dovuto trangugiare meno caffè.


Appunti a margine del Meeting 2012:
L'Unico Ciellino della Parrocchia è tornato dal Meeting di Rimini. Stanco (diciamo piuttosto “devastato”, visti i ritmi giornalieri) e tutto sommato felice. E come al solito carico di meraviglie materiali e immateriali, di quelle che è semplicemente impossibile trovarne traccia non dico in un Repubblica, ma almeno in Famiglia Cristiana (per chi non lo conosce, si tratta di un periodico reperibile in pressoché tutte le parrocchie italiane).

La scena più bizzarra: ai fast-food, uno dei volontari mi dice di aspettare un attimo e mi dà una pallina di gomma chiedendomi di tenergliela nel frattempo. Colgo letteralmente la palla al balzo e con una faccia seriosa gli chiedo: «È un test, signore?» Il giovane purtroppo non coglie la citazione del film Fight Club e mi dà direttamente il risultato: «promosso: nove meno!»

In realtà quest'anno il Meeting è stato meno entusiasmante. Se negli anni scorsi era stato 100, 98, 97, quest'edizione valeva 95.

Quelle che chiamiamo “ingenua baldanza” e “riconoscere una Presenza” hanno sempre fatto registrare crescite a due cifre al Meeting come alle altre grandi iniziative ispirate da gente del movimento. Per cui l'avvertire un calo di qualità (degli incontri), nonostante la quantità (di visitatori) sia abitualmente in aumento, comincia a far affacciare qualche perplessità.

Le mie non troppo invidiabili condizioni economiche contribuiscono a farmi vedere con più anticipo questo genere di “calo di zuccheri”.

In sintesi: si comincia ad avvertire come invadente la presenza di politici e imprenditori al Meeting.


Appunti a margine del Meeting 2013:
La miglior impressione del Meeting di Rimini di quest'anno è stata alla mostra Il volto ritrovato, sulla storia delle immagini acheropite, dalla Camulia al volto santo di Manoppello.

Ma quest'anno in più di un momento al Meeting avevo come una nostalgia di quando le cose “andavano meglio”. E no, non era dovuto alla stanchezza. Era dovuto invece ad un evento inaudito: mi sono ritrovato alcune volte ad avere tempo libero, cioè senza altri incontri e mostre da seguire. Inaudito.

Il fatto è che ho sempre considerato il Meeting un'opera del movimento destinata a me. Per questo soffro nel vederlo anche arretrare di un centimetro, soffro nel prevedere la sua riduzione a ciò che era stato sempre ingiustamente etichettato: una passerella estiva per inutili personaggi in cerca di applauso. Inutili personaggi che non hanno nulla di concreto da insegnarci e che dal Meeting non riescono neppure ad imparare.[1]

Tutti i sacrifici che ho fatto per il Meeting in tanti anni sono sempre stati ampiamente ripagati. La mia “università estiva”, lo chiamavo scherzosamente le prime volte (meravigliandomi di come altri amici del movimento lo considerassero poco più che una sagra paesana a cui presenziare perché “che fai? sei ciellino e non ci vai?”).

Il Meeting è per me, non per i personaggi che le alte sfere ritengono utile applaudire. Ricordo quando raccontavo con entusiasmo agli amici dell'aver seguito “lezioni” di filosofia, di matematica, di politica, di musica classica, di architettura, di poesia, di scienze, con avido entusiasmo. Qualsiasi argomento “libresco” diventava vivo.[2] Sentir parlare di filosofia senza aver tempo di annoiarsi: solo al Meeting poteva capitare. Sentire Rondoni declamare le sue poesie e stupirsi e capire che la poesia è davvero qualcosa da uomini, non un argomento “libresco” per professori incartapecoriti.

E soprattutto argomenti riguardanti la fede. Ho potuto ascoltare e addirittura conoscere di persona scrittori e giornalisti di cui avevo avidamente comprato i libri. Ho potuto appassionarmi a cose che prima pensavo essere curiosità per preti addetti ai lavori. Ho dovuto pianificare accuratamente gli incontri da seguire perché troppe cose interessanti si accavallavano.

Quest'anno no. Durante la settimana del Meeting mi sono ritrovato con dei momenti liberi. Non credo di essere molto cambiato, in questi anni: dal Meeting (che è per me) chiedo sempre le stesse cose. Forse è il Meeting che sta invecchiando: per verificarlo basta scorrere le guide del Meeting di questi ultimi anni.[3]



1) Al Meeting avevamo scoperto l'inaudito: entro determinate circostanze, si può imparare qualcosa anche ascoltando un personaggio un po' discutibile. Ecco: non sempre ci sono le “determinate circostanze”. Ci si può ritrovare a dover applaudire un personaggio insignificante e noioso, se non addirittura totalmente discutibile.

2) Don Giussani, ai primi anni di seminario: sì, Cristo c'entra anche con la matematica. Era da un bel pezzo che nella Chiesa non si sentiva ricordare una simile ovvietà.

3) Un episodio di quest'anno. Una delle giovani ragazze della militanza con l'incarico più ingrato, quello di vendere i biglietti della lotteria Meeting, in un caso si è sentita rispondere: “no, non intendo più sostenere il Meeting”. Ma il suo capo ha banalizzato l'episodio: sono cose che succedono, non farci caso, qualche matto o deluso si trova sempre. Se fosse capitato a me ci sarei rimasto con la mascella a terra: possibile? come si fa a non voler sostenere il Meeting? Chissà se il capo sarà stato disposto ad interrogarsi su questo piuttosto che sul numero di biglietti invenduti.