sabato 24 settembre 2016

Bassa specializzazione

Quando dico che i professionisti dell'ottimismo mi fanno cagare più di un Tir di purganti mi etichettano come lamentoso. Il Buon Ciellino, a detta loro, dev'essere sempre sorridente, positivo, ottimista.

Si consideri dunque il caso di queste due mie conoscenti. Stessa età - prossime agli anta - stessa formazione scolastica, diverso destino. Una ha la fortuna di lavorare come segretaria presso un Importante Studio, mezza giornata e poi in meno di dieci minuti a piedi è a casa: sposta scartoffie, fa fotocopie, riceve telefonate, annota appuntamenti. Lo stipendio le consente di vivere da sola in un grazioso appartamentino senza dover fare troppi sacrifici, anzi, allestendolo con un sacco di carabattole da ragazzina sdolcinata - e con puntuale frequenza dall'estetista.

La seconda è già tanto che non abbia ereditato i debiti di famiglia. Dopo aver penato per anni per emanciparsi e vivere autonoma, si è ritrovata senza lavoro e senza soldi. Senza soldi perché spendeva tutto dall'estetista e per delle carabattole da ragazzina sdolcinata. E la seconda caratteristica comune è che anche lei non può far altro che un lavoro a bassa specializzazione. Lavoro che non si trova perché quel poco che rimaneva a bassa specializzazione è stato già agguantato da un crescente popolo di disperati e di immigrati.

Nell'imbattersi in questi casi ci si rende conto di quanto l'Italia, nel corso di una sola generazione, sia regredita - e continui a regredire - verso livelli centrafricani. Diminuiscono lentamente i posti di lavoro che non richiedono particolari competenze (non ci vuole chissà che laurea per far fotocopie e spostar scartoffie), ed aumentano gli aspiranti lavoratori senza competenze.

Nei telegiornali si affannano a parlare di disoccupazione, quando in realtà il problema è dell'esercito di inoccupabili, di persone che possono al più andar bene per lavori di bassa, bassissima specializzazione, senza particolari responsabilità, senza obblighi di continuità. Se la segretaria si assenta, non è insostituibile; con una sguattera in meno, il ristorante regge ancora la serata; una telefonista in meno al call-center fa solo aspettare qualche minuto in più i clienti; qui nel paesetto la donna delle pulizie è già tanto che prenda quattro euro l'ora, ed anche la badante è facile da sostituire.

Così, quando arriva la penosa domanda: "sai per caso di qualche opportunità di lavoro?" non chiedo neppure cosa sappiano fare. Il diploma di maturità - e spesso perfino la laurea - non è neppure sinonimo di decente conoscenza della lingua italiana parlata e scritta. Le opportunità sono già state tutte arraffate dal crescente popolo di non specializzati, mentre gli specializzati arrancano perché il titolo di studio non è sinonimo di saper lavorare e neppure di sapere cosa serve per lavorare. Non saranno certo i sorrisi positivi e ottimisti a creare nuovi posti di lavoro a bassa specializzazione per gli inoccupabili italiani.

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