domenica 25 settembre 2016

Ricchi e poveri (e lacrisi-lacrisi-lacrisi)

La proprietaria dell'azienda si concedeva uno stipendio pari a due volte e mezzo quello degli operai che aveva assunto. Il che non suonerebbe troppo fastidioso se nel momento della crisi non avesse fatto quel che fan tutti: bloccare gli stipendi degli operai. L'imprenditoria italiana è fatta così: "è facile fare i froci col culo degli altri".

C'è da assumere un nuovo tecnico, da dispacciare nella sede del cliente quasi tutto l'anno. È uno che conosce bene il mestiere, ha fatto tutta la gavetta, e sa riconoscere le melliflue e adulanti chiacchiere di circostanza. Quando infatti si arriva all'accordo economico, aggrotta i lunghi e neri sopraccigli perché si sente rispondere dalla proprietaria che il mercato è in crisi, e che più di tot in busta paga non si può mettere.

La chiamano crisi economica, in realtà è solo la crisi dei poveri poiché i ricchi la usano come ulteriore leva per speculare. Chi ha davvero bisogno di lavorare (come ad esempio un padre di famiglia, tanto più con mutuo sulle spalle) finisce per accettare lavori sottopagati. Cioè tutti. Quello della contrattazione della paga è il momento in cui riconosci un testardo che non ama essere sottopagato, o uno che non ha urgente bisogno di assicurarsi uno stipendio.

È il caso del tecnico di cui sopra. Si alza senza dir nulla e fa per andar via - la sua esperienza include anche il vedere il bluff. La proprietaria, tentando di non dare a intendere che quel tecnico è necessario, gli dice frettolosamente che è ancora possibile trovare un accordo. Cioè gli fa capire che anche in quest'azienda gli ubbidienti vengono maltrattati e i piantagrane premiati (proprio quel che avviene in certi settori della Chiesa cattolica: e perciò mi si conceda già ora di chiamarlo clericalismo del mondo del lavoro).

Dopo un paio di volte che il tecnico vede il bluff finalmente si arriva all'agognato "accordo". Ha spuntato pressappoco il 25 per cento in più della magra offerta iniziale, nonostante "mercato in crisi" e tutto il resto. Non lo sa ancora, ma ha ottenuto l'equivalente della metà di ciò che si concede la proprietaria.[1]

"Proprietaria" non è il termine commerciale più preciso. Ma lo uso per qualificare un lavoro che è poco più che da passacarte. Commercialista, fiscalista e avvocato fanno tutto il lavoro. Lei si limita a qualche telefonata e a qualche contrattazione.[2] Il vero lavoro, quello che materialmente produce introiti per l'azienda, lo fanno i tecnici e gli operai.

Ora, in clinica le operazioni le affidi al chirurgo, e pretendi che sia un uomo di lunga e provata esperienza, e non ti meravigli che il suo stipendio sia adeguato. Quando hai comprato la Mercedes, hai preteso l'ultimo modello con tutti gli optional, e non ti meravigli del prezzo che ti hanno indicato.[3] E invece al tecnico qualificato che ti salva la faccia, ti fidelizza il cliente e ti mantiene in piedi l'azienda, vuoi dare una paghetta da tirocinante?

I preti che si concedono di elucubrare sulla dignità del lavoro, e gli autori di interventi-omelia modello CdO, semplicemente vivono su un altro pianeta. Se vivessero sulla Terra, tuonerebbero furiosi contro coloro che riducono il lavoro ad una merce, e ancor più contro coloro che speculano sulla crisi (o in altri termini, frodano la mercede agli operai nel momento in cui li assumono: "c'è crisi", sottinteso "voglio pagarti poco e niente").

Chiederebbero che fin dalle scuole superiori gli studenti vengano addestrati a riconoscere il proprio valore nel mercato del lavoro e a rifiutare di contrattare la paga per più di venti secondi: se ci vuole più tempo, significa che o il datore di lavoro non ha soldi, oppure non riconosce il valore di chi ha davanti, oppure parte dal presupposto che l'aspirante non ha davvero le qualifiche che vanta di avere.[4]

Tuonerebbero contro le piccinerie di questi sedicenti imprenditori incapaci di rischiare, incapaci di riconoscere il buono, incapaci di valorizzare ciò che arricchisce l'azienda, prigionieri delle loro piccinerie e dei loro stessi discorsi sulla "crisi", la "crisi", la "crisi"... incapaci di notare che a mandare avanti l'azienda non sono loro ma è il personale fatturante, è il "tecnico 10x", sono esattamente i dipendenti che conoscono il mestiere. Incapaci di notare che a far carriera sono solo gli elementi "spostabili" (cioè insignificanti, non il personale "fatturante"): e naturalmente la giungla legale e la torchia fiscale non fanno che consolidare tale sciatteria.

Gran parte della "crisi" è costituita dalla mancanza di quella che don Giussani chiamava "educazione di popolo", senza la quale diventa arduo riconoscere il valore delle persone, arretrando così verso la barbarie.


1) Più l'invidia e l'ostilità degli altri operai quando prima o poi annuseranno l'entità della paga dell'ultimo arrivato.

2) In Italia la contrattazione è un giochino psicologico con conseguenze economiche. Vince chi riesce ad abbindolare o estenuare l'interlocutore. Solo una minoranza assoluta di casi riguarda lo scambiare benefit contro soldi.

3) E per quanto vuoi contrattare, lo sai benissimo che quella "classe S" ti costa tre-quattromila euro l'anno di assicurazione.

4) La diffidenza come metodo, la sistematica sfiducia preventiva, la presunzione che siano sempre e solo "gli altri" a dover dimostrare di essere validi, non sono imprenditoria ma dimostrazione di incapacità, se non di parassitismo. La difficile arte del valutare un candidato ha i suoi tempi, i suoi costi, la sua inevitabile percentuale di fallimenti: chi disconosce tale arte, sta "in piazza" abusivamente.

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