giovedì 11 gennaio 2018

Una predica per le teste canute

L'immagine che meglio mi resterà impressa di tutti questi anni di appartenenza al movimento è quella di una distesa di nuche in una grande aula. Fui colpitissimo le prime volte che da ragazzino partecipai ad attività del movimento, dal fatto che tutti fossero attenti, presenti, coinvolti. Fino a quel momento avevo solo l'immagine dei raduni parrocchiali, sociali e familiari, dove l'attenzione è optional, la presenza è meramente fisica, il coinvolgimento è al più emozionale e passeggero.

A distanza di tutti questi anni l'immagine è ancora viva. Al ritiro di Avvento del movimento c'era ancora quella distesa di teste davanti a me. Mi sono chiesto cosa fosse cambiato, mentre il vicino di sedia spediva un tweet dal suo iPad, forse per vantarsi di essere lì.

Il primo cambiamento è nel colore dei capelli. Bianco. Dappertutto. Lo noto perché da ragazzo mi pareva rilevante che un anziano prendesse sul serio le stesse cose che noialtri giovani e adulti avevamo a cuore. Dopo tutti questi anni, quelli che erano adulti sono ancora lì, fedelissimi. Sarebbe un buon segno, se solo in questi anni fossero state vietate nuove adesioni.

Il secondo cambiamento è che la sala non era piena. All'epoca si dovevano aggiungere sedie ovunque e occupare ogni centimetro utile, col rischio - fino all'ultimo minuto - di lasciar gente in piedi. Dunque i fedelissimi sono ancora tutti lì, altri hanno abbandonato, e i "nuovi" sono pochi. Man mano che osservavo crescere questo fenomeno me lo spiegavo col concetto della porta girevole: tanti entrano, tanti escono - non per niente si chiama "movimento" anziché "associazione". Ma questo non basta più a far capire la notevole percentuale di capelli bianchi in sala. Significa che lo zoccolo duro del movimento, almeno lì, è composto da quelli che entrarono all'epoca e da anziani entrati nel frattempo. In entrambi i casi significa che il movimento non ha più molto da dire ai giovani - e son passati più di trent'anni da quando don Giussani lamentava uno svuotamento ("effetto Chernobyl") nei giovani.

Il terzo cambiamento è che all'epoca avevo la netta impressione che i capi del movimento fossero personalmente coinvolti in ciò che dicevano dalla cattedra. Quando nominavano Cristo, non stavano facendo una predica, ma trasmettendo qualcosa di importante e di urgente, qualcosa di cui non riuscivano a fare a meno di annunciare. Stavolta, invece, era una brillante predica ciellina della durata preconfezionata di sessanta minuti.

Il guaio delle prediche è che quando già ti hanno annoiato a morte paiono annunciare di star entrando nel punto conclusivo. Che poi si sviluppa in ulteriori due punti conclusivi del conclusivo. I quali a loro volta raddoppiano in due punti conclusivi di ogni punto conclusivo del conclusivo. Così si procede per altri quarantadue fastidiosissimi minuti, per terminare all'improvviso. Te ne accorgi perché nel torpore realizzi che da parecchi secondi il predicatore non parla, e il tuo cuore urla di gioia quando il soggetto accanto a lui annuncia "passiamo agli avvisi".

All'epoca ero assetato di ascoltare perché avevo la continuamente rinforzata certezza che quei capi erano lì non per ammannirci una predica, ma per trasmetterci il meglio che avevano, che invariabilmente riconoscevo come buono e necessario anche per me. Già all'epoca venivamo messi in guardia dal non ridurre il movimento ad un discorso sul movimento, a non spegnere la sete che avevamo dentro, a non considerare quelle parole col "già visto, già sentito, già so". Un invito, insomma, a non lasciarsi distrarre. Un invito superfluo per chi giunge lì con una sete dentro, perché in tal caso ti accorgi di venir dissetato anche da quelle cose "già viste, già sentite, già sapute".

Stavolta c'era invece la brillante predica ciellina, con proliferazione esponenziale di punti conclusivi. Don Giussani, in tempi non sospetti, diceva che se la scuola di comunità non ti cambia allora è inutile andarci. Evidentemente già intravedeva la riduzione del movimento ad un discorso sul movimento. Già prendeva precauzioni contro il passaggio da "capo" a "capetto", contro la riduzione degli incontri a somministrazione di omelia zeppa di punti conclusivi, in fin dei conti contro la riduzione del movimento a club per il tempo libero appetibile al più alle teste canute.